STOP CONTRIBUTI PUBBLICI ALL’EDITORIA. A DI MAIO NON PIACCIONO I GIORNALISTI

Uno degli impegni della Legge di Bilancio che il Governo vuole attuare è il “graduale azzeramento a partire dal 2019 del contributo del Fondo per il pluralismo, quota del dipartimento informazione editoria”. Si tratta del fondo previsto dalla riforma dell’editoria varata con la legge 198 del 2016 dal governo Renzi e resa operativa da un decreto legislativo del 2017.In questi giorni un appello ha riempito un’intera pagina dei quotidiani e periodici nazionali e locali, rivolto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dalla File: Federazione Italiana Liberi Editori. Una reazione all’emendamento del capogruppo del Movimento 5 Stelle, Stefano Patuanelli, che prevede l’abolizione dei contributi pubblici all’editoria. Un emendamento subito inserito nella Legge d Bilancio in discussione in questi giorni. Nell’appello si legge tutta la problematicità di quello che sta accadendo: “Il Governo vuole far chiudere centinaia di giornali, il presidente della Repubblica impedisca questo colpo di spugna”. Queste sono le parole che aprono la lettera della File. “Il sostegno pubblico all’editoria e la trasparenza dei mezzi di finanziamento sono previsti dall’articolo 21 della Costituzione e interventi legislativi su argomenti del genere richiederebbero, in un sistema democratico, un confronto civile, sociale e parlamentare. Tutto, invece, verrà risolto con un maxiemendamento e qualche tweet, e a partire dal 2019, cioè a dire tra due settimane”.La File inoltre aggiunge che: “molti giornali editi da cooperative no profit o da enti morali chiuderanno a breve, o saranno costretti a operare drastici tagli; perché ridurre o azzerare i contributi pubblici senza aver prima provveduto ad una riforma organica del settore significa, semplicemente, chiudere i giornali”. Fondi che progressivamente verranno ridotti fino all’abolizione totale nel 2022. L’emendamento Patuanelli aprirà la strada verso l’azzeramento dei fondi all’editoria.Sergio Mattarella si è espresso sull’emendamendo affermando che: “il pluralismo dell’informazione è presidio irrinunciabile in uno Stato democratico” Tutte le prese di posizione del Presidente Mattarella sulla libertà di informazione rischiano di andare a vuoto. L’emendamento del Governo che smantella il Fondo per il pluralismo va in direzione opposta. Non ci sarà nessun ripensamento.La Fnsi e Odg sperano che le parole del presidente della Repubblica facciano desistere il Governo e ne hanno chiesto il ritiro proprio per evitare la scomparsa di ulteriori posti di lavoro nel settore del giornalismo. Tutto questo ha portato in piazza tutte le organizzazioni dei giornalisti con lo slogan: “così si spegne la libera informazione”. Tagli progressivi. Nel testo dell’emendamento Patuanelli, si sottolinea che i tagli ai contributi diretti alle imprese editrici di quotidiani e periodici, di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n.70, sono previsti nel quadro di una “revisione organica della normativa di settore, che tenga conto anche delle nuove modalità di fruizione dell’informazione da parte dei cittadini”.I tagli, in base all’emendamento, sono progressivi: “per l’annualità 2019 l’importo complessivamente erogabile a ciascuna impresa editoriale sarà ridotto del 20% della differenza tra l’importo spettante e 500 mila euro; per l’annualità 2020 sarà ridotto del 50%, per l’annualità 2021 del 75% e infine a decorrere dal 1 gennaio 2022 abrogati del tutto”. Secondo la Federazione Nazionale della Stampa e il Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti, l’emendamento va nella direzione sperata dal ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, e dal sottosegretario con delega all’Editoria, Vito Crimi. Nella nota congiunta è scritto: “soffocare il pluralismo dell’informazione e colpire il diritto dei cittadini ad essere informati. Non potendo adottare provvedimenti punitivi contro i grandi giornali, il Movimento 5 Stelle, avvia un regolamento dei conti con la categoria dei giornalisti, di cui mal sopporta libertà e autonomia, accanendosi contro i più piccoli, realtà che rappresentano il giornalismo di opinione o sono la voce di piccole comunità territoriali o di minoranze linguistiche. l’effetto che questa misura creerà sarà: “quello di svuotare le edicole di giornali e di allargare l’esercito dei giornalisti precari”. Le Cooperative, File, Fisc e Uspi si sono coalizzate e hanno rivolto un appello anche al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Le associazioni chiedendo che venga ritirato l’emendamento e avviato con urgenza un tavolo di confronto con tutte le categorie impegnate nella filiera editoriale dell’informazione. Il desiderio che ci sia: “un ripensamento urgente del Governo rispetto ai tagli indiscriminati che avranno ripercussioni pesantissime su diversi giornali cooperativi e delle altre realtà no profit, e su tutto l’indotto. Crediamo che il Governo e lo Stato debbano invece essere parte attiva e vigile per la promozione e la tutela del fondamentale diritto ad un informazione plurale, in coerenza con l’art.21 della Costituzione, e non mortificare il pluralismo con tagli così pesanti e repentini”. Nell’emendamento si legge inoltre che saranno individuate anche le modalità per il sostegno e la valorizzazione di progetti volti a sostenere il settore della distribuzione editoriale anche avviando processi di innovazione digitale. Inoltre l’emendamento prevede che a valere sul fondo per il pluralismo vi siano delle forme di finanziamento per progetti di promozione della “cultura della libera informazione plurale”. Secondo Articolo 21, “a subire le conseguenze subito sono almeno 24 giornali, tra cui spicca il Manifesto in compagnia dell’Avvenire e di numerosi fogli locali”, scrive Vincenzo Vita. “Sulla via del tramonto, in generale, almeno 80 testate”. La riforma esclude dai contributi statali all’editoria le testate che sono semplicemente “organi di partiti, movimenti politici, sindacati e dei periodici specializzati a carattere tecnico, aziendale, professionale o scientifico” e ha mantenuto il criterio di legare i contributi alle copie effettivamente vendute. Continuano invece a ricevere i contributi le imprese editrici cooperative e quelle che pubblicano quotidiani e periodici all’estero, le cooperative e gli enti no profit che editano testate e le pubblicazioni delle minoranze linguistiche. In Italia la stragrande maggioranza dei quotidiani, non riceve contributi diretti da parte dello Stato. Tutti, Repubblica, Corriere, Sole 24 Ore, La Stampa possono, dopo avvenuta richiesta, usufruire di tariffe agevolate, telefoniche e per le spedizioni con Poste Italiane. In più, grazie alla legge di stabilità per il 2011, è stato istituito un fondo di 30 milioni di euro per rifinanziare il credito d’imposta del 10% per l’acquisto della carta a imprese editoriali iscritte al ROC ed editori di libri. Lo Stato finanzia anche cinque emittenti radiofoniche di partiti politici: Ecoradio, Veneto Uno, Radio Galileo, Radio Città Futura e Radio Radicale, quest’ultima periodicamente al centro di un dibattito avvelenato per i 4 milioni di euro che incassa dal governo come organo della lista Pannella cui va ad aggiungersi il finanziamento pubblico (dagli 8 ai dieci milioni di euro) per la convenzione, in scadenza quest’anno, con lo Stato per la trasmissione delle sedute del Parlamento. Fatto sta che in una Democrazia tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.