COLD WAR È LA CONFERMA CHE IL CINEMA BELLO SI FA ANCORA

Polonia, 1949. Wiktor è un musicista a cui viene affidato l’incarico di selezionare le voci che comporranno il “Mazowske”, il corpo di canti e balli popolari creato per glorificare il regime comunista e che di lì a poco si estenderà a tutto l’oriente. Tra le candidate spicca subito la bella Zula, non tanto per le capacità canore, invero ancora piuttosto acerbe, quanto, piuttosto, per la personalità dirompente, accompagnata da una sicurezza nei movimenti e nel corpo che balzerà subito agli occhi di Wictor, che la farà entrare nella compagnia. Nascerà tra i due una storia d’amore, una delle più tormentate che il cinema moderno possa proporci, in quanto continuamente influenzata dagli eventi storici e politici che inevitabilmente interferiranno con i loro sentimenti.Sulla falsariga di “Hiroshima Mon amour”, Pavel Pawlikowski, dietro la volontà di narrare la storia d’amore tra un uomo e una donna – ispirata alla relazione tra i suoi genitori – cela la sua vera volontà, ovvero quella di raccontare la Storia, e, per la precisione, la storia del comunismo, la storia degli anni del dopoguerra, della spaccatura tra oriente e occidente, identificata in quella che fu la folle edificazione del muro di Berlino. Toni freddi, tinte chiaro scure, formato 4:3 sono sufficienti a rappresentare il soffocante contesto entro il quale si svolge la vicenda, ma non a bloccare l’irruenza dei corpi di Wictor e Zula, che in quel gelido paesaggio irrompono continuamente con la loro passione, avvicinandosi, incrociandosi, talvolta scontrandosi, talaltra fondendosi, per poi allontanarsi nuovamente, in quello che, visto nel suo complesso assume le sembianze di un ballo, dove i partner sembrano inseguirsi senza mai prendersi; prendersi, senza mai trattenersi. Ed è l’abilità della mano dell’autore polacco, la cui padronanza della macchina da presa si era già affermata con il Premio Oscar “Ida”, a delineare con tanta delicatezza quella che può definirsi un’opera d’arte, già vincitrice del Gran Premio della Giuria a Cannes e di ben 5 titoli agli EFA. Una mano dai movimenti impeccabili, accompagnata dalla fotografia di Łukasz Żal con il quale crea un connubio che si traduce in un’esplosione di immagini che finiscono per mettere da parte la trama, rendendola serva di un’estetica dove il dialogo passa in secondo piano. Un esplosivo insieme di elementi che diventano il tappeto rosso su cui si muove la splendida Joanna Kulig che incarna un’immagine di donna bella, libera, talora irriverente, ma sempre in grado di rubare la scena all’altrettanto bravo Tomasz Kot.“Cold War” è un film che va visto, e per chi non lo abbia visto è certamente un film che va recuperato. Di quelli che lasciano il segno. Di quelli che smentiscono la paura che di così belli non se ne facciano più.