POTERE AL POPOLO SI STA ORGANIZZANDO

POTERE AL POPOLO SI STA ORGANIZZANDO

Uno dei versi più belli del poeta Majakovskij è “Noi la dialettica non l’imparammo da Hegel”. Voleva dire che lui, da morto di fame, aveva scoperto la contraddizione di classe nella vita vera, non sui libri. Allo stesso modo, noi abbiamo scoperto la necessità dell’organizzazione nella nostra pratica, facendo esperienza delle sconfitte e delle vittorie, non perché abbiamo letto i testi sacri e abbiamo un modello astratto in testa… Proprio in questi giorni abbiamo la conferma di quanto sia utile avere un’organizzazione almeno nazionale. Vi faccio solo un esempio: la Whirlpool. A Napoli la multinazionale vuole chiudere lo stabilimento. Apparentemente tenendo aperti gli altri, anche per dividere i lavoratori e disincentivarli dal protestare per i loro fratelli napoletani. In realtà l’azienda si sta disimpegnando ovunque. Noi innanzitutto ci mobilitiamo con i lavoratori, mettendoci al servizio delle loro esigenze, dando un supporto non tanto sindacale, ma politico, di iniziative fuori dalla fabbrica, di discorso pubblico. Perché il problema non è solo quello di risolvere la vertenza locale/sindacale, ma assumere una visione globale e comunicarla agli operai dei diversi stabilimenti, per evitare che “oggi a me, domani a te”, per maturare una coscienza di classe e scoprire come le forze al Governo o i manager non siano lì per fare i nostri interessi… Ok, questo lo facevamo anche con il Clash City Workers, un collettivo che si occupava di sostegno ai lavoratori. Ma ora con Potere al Popolo c’è uno scarto significativo. La fatica è minore e il risultato è maggiore. Perché: 1. siamo più comprensibili come “partito” che se ci avviciniamo come collettivo.2. i nostri comunicati e azioni viaggiano di più, perché i media ormai ci conoscono e i compagni le riprendono in tutta Italia.3. abbiamo agganciato competenze che possono “leggere” un piano industriale e farci capire dov’è il problema.4. avere un’estensione nazionale ci permette di intervenire ovunque ci sia uno stabilimento Whirlpool. E infatti anche a Siena stiamo organizzando un’iniziativa con i lavoratori Whirlpool di lì, in modo da avvisarli di quanto sta succedendo, condividere pratiche, avere feedback da loro. Ma perché fermarci all’Italia? Potere al Popolo ha un rapporto con la France Insoumise, una delle sedi della Whirlpool è ad Amiens. Li chiamiamo, si mettono subito a disposizione. Anche loro vogliono capire che succede, hanno bisogno di sponde. Hanno più mezzi di noi: c’è un deputato che segue la cosa da anni in prima persona, ci può dare documenti. E c’è una compagna interna alla confederazione sindacale europea che può organizzare qualcosa a Bruxelles. Dove ci sono altri militanti di Potere al Popolo – Bruxelles che possono partecipare. Insomma: a breve gli operai francesi volantineranno nel loro stabilimento le ragioni e le frasi scritte dagli stessi operai italiani. Alla faccia dell’UE ma anche dei sovranisti rossobruni che da anni dicono che ogni singola classe operaia deve risolvere i suoi problemi facendo blocco con la sua borghesia nazionale. Non è una piccola cosa: è questo internazionalismo, sono queste azioni molecolari, che permettono di costruire nel tempo coscienza e vittorie. E’ perché nei decenni scorsi si è abbandonato questo lavoro di tessitura antagonista che ora stiamo così male. E se raggiungiamo questi risultati ora che siamo una piccola organizzazione, immaginate cosa potremmo fare se invece di averne 5.000, avessimo 10, 20.000 aderenti combattivi e un po’ più di soldi e di struttura? Immaginate quante lotte riusciremmo a coprire, quanti territori, quanto dibattito politico, come sarebbe più potente e capillare la nostra comunicazione? Sono un grande fan della militanza sul proprio territorio, del radicamento di quartiere etc. Così come dei movimenti sociali in cui milito dal primo anno di liceo. Ma senza un’organizzazione efficace non riusciremo mai a fare un salto di qualità, non tanto e non solo elettorale, ma nella lotta di classe stessa. Purtroppo negli ultimi decenni la critica ai partiti del passato – giustissima per molti aspetti – ha portato a esiti folli, ovvero al rifiuto di qualsiasi forma di organizzazione, all’individualismo, alla frammentazione, a movimenti estemporanei dove non c’è democrazia perché alla fine comandano capetti autoproclamati che poi finiscono puntualmente per farsi cooptare dal potere o per prendere vie deliranti. Perché senza organizzazione che produca mediazioni, riflessione, anche autocritica del singolo, è l’esplosione delle differenze e la guerra di tutti contro tutti. Io lo so che a molti spaventa lo spettro del “partitino”, che costruire un’organizzazione oggi è difficile, che devi confrontarti con molta diversità, avere pazienza, studiare per produrre una teoria all’altezza dei tempi. Che in fondo è più comodo fare quello che si è sempre fatto. Ma da qualche parte bisogna pur iniziare. E non credo che un’organizzazione che comincia, per quanto piccola, a costruire rapporti di massa, sia più patetica ad esempio di un centro sociale frequentato sempre dalla stessa gente e tenuto su da legami con il centrosinistra. Ah, un’altra cosa che credo è che non esista al momento un’organizzazione che possa “coprire” tutto o dare i tempi a tutto. Ci sono ottime compagne e compagni ovunque, ognuno è il top in un certo territorio o questione. Quindi credo che la cosa più interessante che possiamo fare ora sia costruire una sorta di nuovo “militant unionism”, come diceva l’Industrial Workers of the World. Ovvero sperimentare connessioni basate sulle pratiche, sulla ricostruzione delle filiere di produzione e della circolazione del valore, per bloccarle e causare un danno alla controparte. Collaborazione su cose concrete, in vista di obbiettivi decisi e verificabili collettivamente. Prima ci mettiamo tutto questo in testa, prima risolveremo il problema, prima arriveranno risultati. E soprattutto smetteremo di consumarci nel ripartire sempre da zero e nel farci guerre stupidissime.