ESCLUSIVA ALGANEWS – ARGENTINA, PABLO VERNA TESTIMONIA CONTRO IL PADRE GENOCIDA

“Se continui a nascondere l’orrore sotto i tappeti, sarai condannato a pestarlo per tutta la vita”. Con queste parole Pablo Verna, avvocato, spiega la sua battaglia legale per poter testimoniare in tribunale contro il padre medico e militare che, durante la dittatura del 1976-1983, lavorava a Campo de Mayo, sede di un centro clandestino di detenzione. Era lui a drogare i prigionieri che poi venivano buttati dagli aerei nel Rio de la Plata. A questo si aggiunge un altro omicidio al quale il padre di Pablo ha partecipato: quattro persone narcotizzate, caricate su un’auto successivamente fatta scivolare in un lago; l’abitacolo si riempie d’acqua, i passeggeri sono anestetizzati e non se ne accorgono, ma respirano normalmente, inalano acqua e muoiono annegati. Per l’autopsia, un incidente di pesca dal tragico epilogo.Pablo scopre tutto questo nel 2013, grazie a certe mezze parole riferite da un familiare e da un drammatico colloquio con il padre, messo spalle al muro e costretto ad ammettere le proprie responsabilità. Da allora ha in mente un obiettivo: poter raccontare in un tribunale quello che sa, quello che suo padre ha confessato, dare una testimonianza che non abbia solo un valore storico e documentale, ma anche giuridico. Ma si scontra con il codice di procedura penale argentino, che non permette ai figli di denunciare i padri. Una legge che ha l’obiettivo di tutelare l’unità della famiglia ma che oggi risulta anacronistica, perché superata dal diritto internazionale sui crimini contro l’umanità. Poi, nel 2017, Pablo incontra il neoformato collettivo “Historias debobedientes” (storie disobbedienti, nella foto in alto durante una manifestazione: Pablo è il secondo da destra:http://historiasdesobedientes.com) e conosce altri figli di militari, nelle sue stesse condizioni. (Della loro storia, ci siamo occupati in esclusiva nel 2017:www.alganews.it/2017/11/20/esclusiva-alganews-dittatura-argentina-40-anni-figli-militari-vogliono-denunciare-padri/). Da quell’incontro, nasce l’idea di un disegno di legge – ideato dallo stesso Verna – per modificare la legge argentina e consentire ai figli di militari genocida di testimoniare contro i padri.La legge non è ancora stata discussa in parlamento, ma Pablo ha segnato una prima vittoria e potuto nei giorni scorsi dichiarare in tribunale, grazie a una sentenza ad hoc, che apre la strada a nuovi orientamenti giurisprudenziali. Pablo, vuoi raccontarci come è stato possibile?Ha contato il fatto che mio padre non è imputato nel processo dove ho testimoniato. Su tre giudici del collegio giudicante, due hanno dato parere favorevole, dicendo che la legge mi impedisce sì di dichiarare contro mio padre, ma non in assoluto, per raccontare i fatti di cui sono a conoscenza. Il giudice contrario ha sostenuto che le mie dichiarazioni avrebbero potuto generare conseguenze penali per mio padre, che avrebbero leso lo spirito della norma, ossia la protezione della famiglia. La difesa ovviamente era contraria e si è opposta con tutti i mezzi. Ma la pm e gli avvocati di parte civile (Pablo Llonto per le vittime, Maximiliano Chichizola per la provincia di Buenos Aires e Cino Annicchiarico per lo Stato nazionale) hanno dato battaglia. La pm Gabriela Sosti ha fatto notare l’inconsistenza delle obiezioni della difesa. Ne è nato un dibattito molto ricco, come ha sottolineato lo stesso presidente della corte, e alla fine abbiamo vinto. Ritieni che questa sentenza, al di là del tuo caso personale, sia importante?Non lo penso solo io, ne è convinto anche l’avvocato di parte civile Pablo Llonto, che è impegnato in vari processi per crimini contro l’umanità. Con la loro decisione i giudici hanno dato valore alla dignità umana dei figli dei militari, che vogliono dichiarare per apportare un contributo non solo alla ricostruzione della verità e della memoria, ma anche alla giustizia e al diritto. La sentenza riguarda solo il tuo caso, cosa intendi fare per i tuoi compagni?La proposta di legge che abbiamo presentato, e che io stesso ho redatto, punta esattamente a questo: a rimuovere per tutti noi un ostacolo giuridico inammissibile, norme incompatibili con il diritto internazionale, secondo la risoluzione dell’Onu 30-74 del 1973. Secondo il diritto internazionale, davanti a delitti contro l’umanità, prevale l’interesse a perseguirli e non la tutela della famiglia. In più, come ha fatto notare l’avvocato di parte civile della provincia di Buenos Aires, un figlio può testimoniare se lui stesso è vittima del delitto commesso dal padre. E se è vero che un delitto contro l’umanità offende tutti gli appartenenti al genere umano, allora anch’io sono vittima di quanto commesso da mio padre. Inoltre, se la norma ha come obiettivo proteggere i vincoli familiari, nel mio caso tali relazioni si sono già rotte e quindi non ha senso privare i giudici della possibilità di arrivare alla verità sui fatti accaduti. Tutti questi elementi evidenziati dal giudice si potrebbero applicherebbero anche ai miei compagni e a tutti coloro che si trovano nella nostra posizione. E la proposta di legge che avete presentato in Parlamento? C’è speranza che venga discussa prima della fine della legislatura, a ottobre?Malgrado gli sforzi di un gruppo parlamentare, il Movimento Evita, non abbiamo grandi speranze e il momento politico attuale non le alimenta. Però noi la riproporremo e la sentenza sul mio caso può giocare a favore. Come stavi la notte che ha preceduto la tua dichiarazione?Teso, ma al tempo stesso sereno. Ho esperienza di tribunali, sapevo cosa dire perché avevp passato ore a riguardare gli appunti, a fissare una scaletta per non dimenticare niente. Per questo ho dormito pochissimo. Diciamo che avevo una tensione normale per quella che era la situazione. Ora come ti senti?Ora? Bene, non molto diverso da prima. Sono felice di aver dato il mio contributo alle vittime e ai loro familiari che cercano di ricostruire la propria storia e quella dei loro cari che non ci sono più. Non so se è poco o molto quello che ho da offrire, ma lo metto a disposizione per processi che non servono solo a condannare un delitto, ma anche a ricostruire la storia del nostro paese e degli anni della dittatura. Questo non è per me un punto di arrivo, ma un punto di partenza per avere più memoria, più verità e più giustizia. Noi abbiamo rotto la barriera del silenzio, altri figli e figlie di genocidi sanno che si può contribuire alla verità e alla giustizia. Andare il tribunale è stato terapeutico e mi ha aiutato a far rimarginare una ferita. A coloro che non se la sentono di compiere il tuo stesso passo cosa diresti?Di cominciare a pensare che quella persona che sembra tanto per bene, buon padre, buon nonno, forse quella persona si è macchiata di crimini contro l’umanità. Ma il messaggio deve arrivare chiaro anche ai genocidi: è arrivato il momento che anche loro parlino, se no con il loro silenzio – davanti alla richiesta dei familiari delle vittime di sapere che ne è stato dei loro parenti – continuano a commettere ogni giorni il reato didesaparición forzada. Chi hai sentito più vicini in questo tuo percorso?Tante persone mi sono state accanto. La mia compagna che, da quando ci siamo conosciuti del 2008, mi accompagna passo dopo passo. I miei figli, gli avvocati di parte civile, in particolare Pablo Llonto, militanti, compagni di “Historias desobedientes” e altri che non fanno parte ma combattono con noi, giornalisti, amici… Addirittura mi hanno contattato persone che si occupano di diritti umani in altri paesi.