VENEZIA 76.RADIOSA MONICA BELLUCCI IN ATTESA DELL’USCITA DI “C’ERAVAMO TANTO AMATI”.L’INTERVISTA

“Oggi non so se lo rifarei. Perché ho due figlie, e prima di tutto penso a loro, a come vivrebbero loro questa cosa. Feci quella scelta, la scelta di interpretare quel film, per istinto. E non me ne pento, visto che era l’opera di un grande regista, un film che fa discutere ancora oggi”. Monica Bellucci è radiosa, come sempre. Arriva all’incontro stampa con un abito leggero, una fantasia floreale sui toni del verde e del viola. Più tardi, poco prima di mezzanotte, passerà sul red carpet insieme al suo ex marito Vincent Cassel, per accompagnare la nuova proiezione, diciassette anni dopo, del suo film più estremo, più controverso, più audace: “Irréversible” di Gaspar Noè. Il film in cui interpreta una donna vittima di uno stupro. Uno stupro che sullo schermo dura dieci interminabili minuti. Oggi Monica Bellucci è madre di Deva e Léonie, quindici e nove anni, nate dalla sua relazione con l’attore francese Vincent Cassel. Non erano ancora nate nel 2002, quando girò “Irréversible”, con quella scena girata tutta senza tagli, in un solo piano sequenza crudele. “Riproporlo oggi può imbarazzare? No: se ci permette di parlare di violenza, di temi scottanti, ben venga un film come questo. La brutalità dell’abuso sessuale è una tragedia che può toccare a chiunque. Anche un film può suscitare una riflessione, e fare evolvere il rapporto fra uomo e donna”. Che cosa augura, oggi, alle sue figlie? “Di vivere in un mondo migliore, dove ci sia meno paura, per esempio, a parlare, a denunciare un abuso. Ma qualche cosa sta cambiando, anche nelle piccole cose. Accompagno la mia figlia più piccola a scuola, e vedo tanti padri, magari con un passeggino o un altro bimbo in braccio. Così come ci sono sempre più donne registe, politiche, scienziate. Anche se occorrerà ancora tempo per realizzare un vero equilibrio”. Poi ricorda quel film, quella scena di violenza: “Per fortuna, di violenza girando quella scena non ne ho subita in nessun modo. Tutto era architettato e coreografato, come una danza: mi sentivo sicura, il mio corpo aveva il potere assoluto. Mi sentivo protetta da un regista che sapeva il fatto suo”. Con l’allora partner Vincent Cassel recita molte scene di intimità, che il regista avrebbe voluto ancora più spinte. “Anche quelle erano costruite, architettate: e poi, lo sapete, di ciak se ne fanno così tanti che l’improvvisazione viene ‘metabolizzata’…”. Poca improvvisazione anche nella scena dello stupro, girata in un tunnel. “Abbiamo dovuto studiare tutti i pugni e i calci che avrei dovuto prendere in faccia e addosso; ogni volta dovevo sapere esattamente da dove arrivavano, e il momento preciso, per girarmi e non essere colpita. Un lavoro enorme”. Le chiedono che cosa ami, oggi, del suo lavoro. “Quando vedo Meryl Streep ai festival, penso: la passione che la porta a mettersi sempre in gioco, un film dopo l’altro, a esplorare sempre territori nuovi, non ha età. Isabelle Huppert dice che ci sono tante fate dentro ogni attrice: e ogni volta che girano un film, una fata si risveglia e prende vita. Il cinema mi serve per svegliare le mie fate, e sentirmi viva”. Come racconterebbe la sua vita? “Tante cadute, tante volte rialzarsi. Le cadute sono necessarie per il cammino. La vita è un continuo rinascere fino alla parola fine”. Fra poco, intanto, la vedremo al cinema nel film di Claude Lelouch, “I migliori anni della nostra vita”, in uscita il 19 settembre.