INDRO MONTANELLI E IL CINEMA. NON TUTTA UNA STORIA D’AMORE

Indro Montanelli. Con le sue dita magre e nervose, con la sua figura magra e dritta, chino sulla macchina da scrivere, Indro Montanelli non scrisse solo migliaia di articoli, chiari fino alla crudeltà, illuminanti fino alla lacerazione, lucidi fino alla spietatezza. Scrisse anche soggetti per il cinema, recensioni cinematografiche, e diresse anche alcuni film. Fino a finire candidato all’Oscar per la sceneggiatura del “Generale Della Rovere” di Roberto Rossellini. La storia fra Indro Montanelli e il cinema non fu tutta una storia d’amore: anzi, è la storia di un amore trascurato, a vantaggio delle passioni più forti, la politica e il giornalismo. Ma è ugualmente una storia forte, che attraversa decenni della vita e della carriera del giornalista italiano più letto del Novecento. A ripercorrerla adesso, con una ricchezza di particolari e di dettagli immensa, è Rinaldo Vignati, nel libro “Indro Montanelli e il cinema”, edito da Mimesis. Il sottotitolo recita “Un contadino toscano candidato all’Oscar”. Era stato lui stesso a definirsi così, in uno sketch televisivo nel quale Dino De Laurentiis gli chiedeva di lavorare per il cinema. Sono solo un contadino toscano, diceva Montanelli. Col cinema ho poco a che spartire. E invece non è proprio così. Montanelli è stato candidato all’Oscar per la sceneggiatura del “Generale Della Rovere”, ha scritto altri tre film, e uno di questi lo ha anche diretto. E ha fatto anche il critico cinematografico. Sul “Corriere della Sera”. Montanelli la raccontava come una sorta di declassamento subìto nell’immediato dopoguerra, per la sua compromissione con il regime: “Il direttore mi emarginò nella critica cinematografica, di cui non sapevo né mi interessava nulla”. In realtà, però, Montanelli scrisse di cinema con piglio – ne dubiteremmo? – molto originale, assolutamente indipendente. Senza timori reverenziali per i capolavori annunciati. Non amava i monumenti, Montanelli. Né per le persone, né per le opere d’arte. E così, si permette di stare dalla parte di quelli che fischiano “Ivan il terribile” di Ejzensteijn, l’autore della “Corazzata Potemkin”. E anche sulla “Corazzata”, trent’anni prima di Fantozzi, non la manda a dire: “Paesaggi e inquadrature si ammirano senza commozione, non prendono lo spettatore, non gli comunicano calore”. Stronca la “Regola del gioco” di Jean Renoir, del Chaplin di “Tempi moderni” sottolinea l’anacronismo di fare un film muto nove anni dopo l’avvento del sonoro, anche se “la preistoria di Chaplin ha rughe amabili”, detesta i film troppo lunghi, gli attori che recitano troppo, Marlene Dietrich che fa la fatalona anche in età avanzata – “così probabilmente morrà, fatalissima anche dinanzi all’Olio santo…”. Detesta i registi deboli, ma anche i registi/dittatori che non tengono a bada il proprio narcisismo, e perdono di vista la comunicazione col pubblico. E lui? Lui, inteso come autore di cinema, da che parte stava? Nell’immediato dopoguerra, scrive due film, “Pian delle stelle” e “Tombolo”. Li dirige Giorgio Ferroni, che aveva diretto Macario, i cinegiornali Luce e poi aveva fatto cinema nella repubblica di Salò: non esattamente il pedigree ideale per film finanziati dai comandi partigiani; ma Vignati analizza bene il complesso quadro dell’epoca, gli intrecci fra fascismo, antifascismo e qualunquismo in molti dei protagonisti della società, e del cinema, italiani. Sono film a tinte forti: “Tombolo” prende spunto da alcuni articoli che Montanelli aveva scritto sulla pineta fra Pisa e Livorno, che alla fine della seconda guerra mondiale diventa ricettacolo di avventurieri, disertori, prostitute, disperati, evasi. Aveva il gusto del racconto forte, Indro. Molte le scoperte che il libro fa scintillare davanti agli occhi del lettore appassionato. Nel 1948, il soggetto che Montanelli scrive con Jean George Auriol, “L’amante di marmo”, un soggetto che riecheggia nel film di Bertrand Tavernier “La vita e nient’altro”, del 1989. Il racconto diventerà un film per la televisione americana, diretto da Jacques Tourneur, “A Hero Returns”, un eroe ritorna: e la cosa sorprendente è che la sceneggiatura è scritta da John Fante, l’autore di “Chiedi alla polvere”. Nei capitoli del libro, incontriamo uno, due, molti Montanelli: quello degli “Incontri”, i suoi ritratti ironici, pubblicati sul “Corriere”, spesso dedicati a protagonisti del mondo del cinema, quello dei progetti cinematografici non realizzati – come “Israele”, film del quale avrebbe anche dovuto curare la regia nel 1960 – o i contatti con Pasolini; o la proposta di collaborazione di Valerio Zurlini per un film su Giulio Cesare. Troviamo il Montanelli sceneggiatore del “Generale Della Rovere”: “una sola volta ho un po’ fornicato col cinema…”, scrive civettuolo Montanelli, riferendosi a quel film. E il suo film da regista, “I sogni muoiono all’alba”. E troviamo il Montanelli ecologista indignato, che racconta Venezia, una Venezia che muore, divorata dall’inquinamento e dai veleni di Porto Marghera, in un documentario che ha una vasta eco. E un documentario in cui racconta il suo amore-odio per Firenze, l’amore-odio di uno che “è nato nel contado”: “Firenze” esce nel 1972. Tutto il resto, va cercato, scoperto, apprezzato nel libro di Vignati.