ROMA: NON SARA’ MAFIA MA CI ASSOMIGLIA MOLTO

ROMA: NON SARA’ MAFIA MA CI ASSOMIGLIA MOLTO

Sono state eseguite nella notte dai carabinieri le ordinanze di misure cautelari successive alla sentenza definitiva della Cassazione sul cosiddetto Mondo di Mezzo, conosciuto come Mafia capitale, anche se l’ultimo grado di giudizio ha stabilito che si è trattato di associazione criminale comune e non di mafia. La Corte d’Appello dovrà rivedere le misure per chi è già in carcere, sottoposto a misure relative ai condannati per mafia come Salvatore Buzzi e Massimo Carminati. Sono stati invece portati in carcere l’ex presidente dell’Assemblea Capitolina Mirko Coratti, Claudio Turella, già dirigente dell’ufficio comunale responsabile del verde pubblico, e poi Sandro Coltellacci, Franco Figurelli, Guido Magrini, Mario Schina, Andrea Tassone, Giordano Tredicine e Marco Placidi. In seguito al provvedimento di legge conosciuto come “Spazzacorrotti” i condannati non potranno richiedere misure alternative al carcere. Le pene residue previste variano dai 3 ai 4 anni di carcere effettivo e in alcuni casi è scattata l’interdizione dai pubblici uffici. La politica ha ben poco da esultare per questa piega presa dall’ultimo grado di giudizio, perché le attività della rete di corruzione, costruita negli anni non soltanto dagli imputati più noti ma dai loro complici nella pubblica amministrazione, sono state riconosciute comunque come criminali e condannate. E questo è già un risultato importante, non immaginabile fino a poco tempo fa. Significa che se denunci un reato qualcuno indaga e trova riscontri. Lascia poi ben sperare, da qui in avanti, che questo accada all’interno di una Procura come quella di Roma, molte volte finita sotto accusa come porto delle nebbie e insabbiatrice di processi importanti, nonostante i veleni interni alle diverse correnti della magistratura, finiti ancora poche settimane fa sotto la lente d’ingrandimento delle intercettazioni telefoniche, che indicano, al di là delle possibili violazioni penali, un malcostume diffuso. La Cassazione ha quindi stabilito che l’associazione guidata a Roma da Buzzi e Carminati è di criminalità semplice e non di mafia. Le sentenze si rispettano, anche se si possono criticare naturalmente, ma la giurisprudenza si è espressa in maniera definitiva e gli imputati hanno adesso diritto a un regime carcerario alleggerito dalle aggravanti mafiose del 416 bis senza se e senza ma. Però due riflessioni vanno fatte da chi si occupa di cronaca e cultura tutti i giorni, insieme ai propri concittadini a cui forse non importa tanto la definizione giurisprudenziale del concetto di mafia, ma la possibilità di avere pari opportunità nel partecipare alle attività produttive e civili della propria città. Purtroppo, chi vive a Roma combatte tutti i giorni contro un sistema dove il confine tra criminalità semplice e organizzata è molto facile da attraversare. L’unico modo per sopravvivere nella Capitale è scendere a patti ogni giorno con una mafia di fatto che vessa continuamente chi prova a far rispettare i propri diritti. Occorrono anni per ottenere da un ufficio pubblico licenze per attività produttive lecite, chi prova ad accedere con società di start up o con altri buoni progetti a finanziamenti pubblici ha come nemico l’elefantiaca amministrazione locale. Sono solo due esempi, ma i romani sanno di vivere in un luogo dove non riesci nemmeno a far togliere i tavolini abusivi dei ristoranti dai marciapiedi del centro storico o a ottenere lo scontrino e figurarsi il pagamento con il pos dal commerciante sotto casa. Non si può ignorare questa realtà facendo finta che non sia mafia nei fatti, nei comportamenti e nella cultura diffusa. Ci sarebbe la politica. Già, quella politica che sull’onda della denuncia di mafia capitale si è insediata al Campidoglio e come unico rimedio ha trovato quello di non fare niente. Da cinque anni a Roma non si fanno gare d’appalto per il verde pubblico e altri servizi essenziali per la paura che le gare vengano vinte da realtà che poi si possano rivelare corrotte. Non è affatto la soluzione. Anzi. Perché così oltre ad acuire i problemi sulle grandi e irrisolte emergenze di Roma si alimenta il sottobosco di appalti per importi minori affidati agli “amici fidati”, senza gara e su cui i cittadini non possono esercitare alcun controllo. Anche in questo ha fallito Virginia Raggi con la sua giunta. Ma quali sono le alternative? Perché se da più parti si raccolgono firme per le dimissioni della Sindaca che, lo ripetiamo, non ha creato la situazione ereditata ma di certo non ha fatto nessun passo avanti nella soluzione di problemi che si sono aggravati fino alla paralisi della Capitale, dall’altra parte chi li critica, che sia la Lega o il Partito Democratico, deve ancora spiegarci cosa farebbe per far uscire la città dal pantano in cui affonda ogni giorno di più. I cittadini restano in attesa e nei bar, nelle conversazioni sulla metro, nei pochi momenti di dibattito culturale rimasti nel deserto d’iniziative di partecipazione popolare, continueranno a chiamare mafia questo stato di cose inaccettabile.