URSULA VON DER LEYEN E IL NOSTRO STILE DI VITA

URSULA VON DER LEYEN E IL NOSTRO STILE DI VITA

Ci sono due parole, ormai entrate nel lessico comune, soprattutto di chi, in buona fede, vuole confrontarsi con questo fenomeno epocale, ma non unico, della storia umana: le MIGRAZIONI di massa. E queste due parole, che non mi convincono per il loro contenuto ambiguo, sono TOLLERANZA e INTEGRAZIONE Tolleranza presuppone sopportazione dell’altro che quindi, appunto, si tollera per la sua intollerabile e, a volte “pericolosa”, diversità. Integrazione richiede all’altro di accettare supinamente elementi e valori diversi dai propri per essere accolto. Intendiamoci, questo principio è ovviamente soggetto a reciprocità, nel senso che non si può pretendere da nessuno di cedere la propria identità ad altri, se non naturalmente ad una condizione su cui poi dirò alla fine. Di fronte a questo fenomeno della migrazione sembrano scontrarsi due posizioni che presupporrebbero due visioni diverse: l’una cosiddetta sovranista di netto e esplicito rifiuto: “stiano a casa loro” oppure nella versione più ipocrita e cinica “aiutiamoli a casa loro” con buona pace di alcuni secoli di storia coloniale, che ha depredato risorse e favorito classi dirigenti locali succubi ad un potere che veniva dall’esterno, proprio da un’Europa che ora pontifica, appunto con “la casa loro”; l’altra, carica appunto di ambiguità, contenuta in quelle due parole di cui sto parlando e che si potrebbe ben rappresentare con le affermazioni della neo presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, quando parla di “protezione del nostro stile di vita europeo” che sembra evocare, con la parola “protezione”, un atteggiamento difensivo da una sorta di invasione dall’esterno che induce a un sentimento di paura e avversione. Non mi piace poi l’aggettivo “nostro” quasi fosse contrapposto a un “loro”. Naturalmente i due piani restano diversi ma mi sembra utile proporre una riflessione. A parte che ho qualche difficoltà a riconoscere l’esistenza di uno stile di vita europeo perché non so se esistano stili di vita, al di là di alcuni princìpi comuni cui ci si ispira nell’organizzazione statuale Mi viene in mente il libro straordinario curato dal grande storico Fernand Braudel “IL MEDITERRANEO” che contiene una raccolta di saggi di vari autori; dove si parla per esempio dell’Europa dell’olio, del vino, dei fiori, delle tradizioni religiose e delle culture nel Mediterraneo Ma poi penso all’Europa del centro nord, con le patate, il burro, la birra. E alle differenze di clima, di religione, di rapporti familiari e sociali e si potrebbe continuare. Mi sembra invece che, nel passato e fino ad oggi, l’Europa abbia avuto la caratteristica di accogliere molti stili diversi persino contrastanti. Ma qualcosa è cambiato. Alla luce di quanto ho cercato di dire, mi sembra che ci sia il rischio che queste due posizioni, apertamente in contrasto sul tema, rappresentino in realtà le due facce di una stessa medaglia, naturalmente con toni e impostazioni diverse, dove cioè è comune il tema del rifiuto dell’altro in quanto tale e con il quale confrontarsi, eventualmente, ma alle nostre condizioni. In un caso pronunciando un netto NO, nell’altro chiedendo a chi arriva di rinunciare ai propri valori, ai caratteri distintivi della propria civiltà che spesso trova giustificazioni in comportamenti, spesso sanciti da usanze ancora tribali, per noi inaccettabili, per aderire a questo presunto stile di vita europeo. Allora ecco che mi servono altre parole per sostenere un’altra tesi: per esempio CONVIVENZA e ancor di più MESCOLANZA. Io credo, come è sempre avvenuto nella evoluzione della nostra specie nelle forme e modalità più variegate, che il futuro potrebbe essere quello di una nuova mescolanza in grado di produrre un ulteriore livello di civiltà fondato sull’incontro tra diversità. Certamente sarà inevitabile, da parte di tutti, una progressiva rinuncia o abbandono di appunto “stili di vita”, o meglio di gradi di civiltà e valori, per lasciar posto ad altri e nuovi, in alcuni casi eredi di ciò che li ha preceduti, oggi persino difficili da definire ma io credo, inevitabili, nel corso della storia. Niente di nuovo sotto il sole, si direbbe, se non che questo fenomeno della migrazione oggi è più planetario che mai, rapidissimo e di dimensioni enormi. In più, concorrono, anche qui come sempre ma stavolta in dimensioni gigantesche e incontrollate, gli effetti di un meccanismo economico globale che produce quotidianamente esclusioni e differenze. Su questo piano sono ahimè inevitabili le ovvie ulteriori conseguenze sul tema della pace, sempre più messa in discussione in tante parti del mondo e foriera anch’essa di questo epocale spostamento di intere popolazioni in fuga anche dalla fame e dalla morte. Intendiamoci, io non sono a tal punto ingenuamente illuso che queste questioni siano di facile soluzione e specialmente in tempi brevi, come forse si richiederebbe, ma se non si cambia atteggiamento, da parte di tutti “residenti” e “invasori” avremo di fronte anni durissimi fatti di scontri e paure di perdite di identità che invece non dovrebbero giustificarsi. Siamo una specie che per le sue scelte, anche in altri campi, penso alle conseguenze sul clima, rischia l’estinzione per stupidità. Da questo punto di vista, tra gli altri, Donald Trump mi sembra l’esempio che meglio rappresenta questa caratteristica della nostra contemporaneità e, ahimè, da un posto di potere che influenza il mondo intero. Forse dovremmo imparare da altre specie viventi o vissute che, se e quando corrono questo rischio, è per scelte altrui. Almeno in questo la loro saggezza potrebbe esserci di grande aiuto.