ADDIO CALVANESE, IL SIGNOR NESSUNO DI “CLAMOROSO AL CIBALI!”

ADDIO CALVANESE, IL SIGNOR NESSUNO DI “CLAMOROSO AL CIBALI!”

Si può diventare famosi per una frase detta, forse, non è certo, da un radiocronista durante una partita di campionato tra la seconda e l’ottava in classifica? Beh, ora no, decisamente. A parte che la radio conserva fascino ed utilità, ma è diventata roba di nicchia, il fatto è che al giorno d’oggi per diventare famosi (famosi veri) bisogna che un web influencer ti inserisca nel suo marketing plan, ti spinga coi follower e tu riesca ad impattare il suo target (se qualcuno ha capito cosa abbiamo scritto ce lo faccia sapere, grazie). Però all’inizio degli anni 60 poteva succedere, sì, ed è quello che capitò a Salvador “Todo” Calvanese, attaccante argentino allora in forza al Catania che ci ha lasciati proprio ieri all’età di 85 anni. Il quale Calvanese, il 4 giugno 1961, segnò il gol del 2-0 all’Inter al Cibali, gol che toglieva ogni speranza di scudetto ai nerazzurri e consegnava il titolo ad una squadra, sempre con la maglia a strisce, che anche ultimamente sta andando benino. Insomma una partita in sé magari non eccezionale nelle premesse (il Catania come detto era tranquillissimo a metà classifica) ma che poi, grazie al risultato a sorpresa, stimolò la fantasia di Sandro Ciotti che proruppe (forse, sempre forse), al gol di Calvanese, con il celeberrimo “Clamoroso al Cibali!”. Esclamazione poi usata nel corso degli anni per qualunque risultato sportivo, politico, di costume, che facesse scalpore. Si diceva dell’incertezza sulla paternità: reperti audio non ce ne sono, video invece sì: un reperto dell’istituto Luce di poco più di un minuto dove la classica voce, perfetta ma impostatissima, dell’annunciatore aveva in sottofondo una fantastica colonna sonora jazzata, ed affermava che i nerazzurri allo 0-2 “vedevano il fondo dell’abisso”. Fantastico! Altro che “la manita”, “la ruleta”, o “la trivela” e menate simili inventate dagli urlatori esterofili dei nostri giorni. Beh, comunque tornando a Ciotti e al suo “Clamoroso al Cibali!” (con punto esclamativo obbligatorio) bisogna andare sulla fiducia. Certo, abituati come siamo alla impossibilità di cancellare qualunque cazzata fatta-detta, da noi stessi a o da altri, vedendola usata contro di noi nei secoli dei secoli da amici e nemici, fa venire quasi una lacrima scoprire che allora si poteva creare una leggenda da una cosa tramandata solo per via orale. E alla fine in fondo chi se ne frega se la frase non l’aveva detta Ciotti, ma magari il tecnico che con la cuffia gigante in testa cercava di fare arrivare la voce del radiocronista sino allo studio centrale dove c’era “la maestra” Bortoluzzi, in quella che era la seconda stagione del neonato “Tutto il Calcio minuto per minuto”. Di sicuro c’è che quel giorno, clamoroso o non clamoroso, il gol del definitivo due a zero lo segnò Calvanese. Era partito anni prima il buon “Todo” dal Ferro Carril Oeste, il club argentino fondato agli inizi del 900 dagli impiegati delle ferrovie, la squadra sicuramente con il nome più poetico di tutte. Basta pronunciare il nome per sentirsi immersi in un racconto di Osvaldo Soriano e sentire il famoso coro dei suoi tifosi: “Yo no soy de Liniers, Yo no soy de Boedo, Somos de Caballito, Porque tenemos huevos…” (dove Caballito è “il barrio”, il quartiere di Buenos Aires, dove è nata la squadra e los huevos… sono quelle cose lì…) per arrivare in Italia nel 1959 acquistato dal Genoa. Lo si vede nella foto di allora, non ancora figurina Panini (sarebbero arrivate due anni dopo), col suo bel sorriso aperto e i capelli con la “sfumatura alta” come andava allora. Bel sorriso che però con i grifoni non ebbe modo di mettere in mostra molte volte: una stagione proprio brutta la sua, zero gol in campionato. Però una doppietta in Coppa Italia col Venezia, e spulciando in rete si trova un articolo de La Stampa del 15 settembre 1959 dove nella cronaca di quella partita l’inviato descrive Calvanese come “un giocatore di sicura tecnica ma a cui manca una dote essenziale: lo scatto”. E aveva segnato una doppietta! Pensate un po’, poi c’è chi dice che i giornalisti adesso sono cattivi… Ad ogni modo Calvanese alla fine della stagione passò al Catania e lì le cose andarono molto meglio e completò il campionato andando ad un passo dalla doppia cifra (9 gol) con la perla del gol all’Inter appunto. Che partita quella: l’Inter due giorni prima era venuta a sapere che l’incontro vinto a tavolino con la Juventus non era più valido perché la Lega aveva deciso di far ripetere la partita. Era successo che a Torino ci fosse stato un eccesso di persone ai cancelli dello stadio e quindi le forze dell’ordine si fossero trovate travolte e la gente si fosse assiepata ai lati del campo. L’arbitro aveva comunque dato il via alla partita ma poi l’Inter, e l’allenatore Herrera in particolare, avevano chiesto ed ottenuto l’interruzione dell’incontro. Qui le immagini si trovano, ed effettivamente c’era la gente a mucchi sulla linea laterale. Sorridente, tranquilla, ma a mucchi (inevitabile portare con la fantasia la cosa ai giorni nostri, ed immaginarsi Conte in una situazione simile e la sua sicuramente misurata reazione), ovvio fermare la partita e dare la vittoria all’Inter, poi però… Poi però ricorso di tale avvocato Chiusano e verdetto annullato perché non c’era, secondo la commissione giudicante, responsabilità oggettiva dei bianconeri. Ah, la responsabilità oggettiva! Questo “evergreen” della nostra serie A che non ci abbandonerà mai: una sicurezza che, dai cori razzisti alle partite vendute, fa da airbag a qualunque porcata. Ad ogni modo partita da ripetere decretarono i giudici di allora, e l’Inter non la prese bene, per niente. E quindi a Catania c’era da fare risultato assolutamente per poi giocarsela con la Juve nel recupero-spareggio. Però se all’andata hai dato agli avversari 5 pere e hai detto che erano una banda di “postelegrafonici” beh, ci sta che poi al ritorno te li trovi incazzati come vipere. E infatti “Clamoroso al Cibali!” appunto. Sconfitta, scudetto alla Juve e umiliazione nel recupero giocato mandando in campo la “De Martino”, la primavera di adesso, con una sconfitta 9-1 con sei gol di Sivori (uno sempre misurato lui…). Ma tutto questo a Calvanese non interessava più, il suo lo aveva fatto ormai, era entrato nel mito. Restò in Sicilia ancora un po’, poi passò all’Atalanta dove vinse una Coppa Italia ma senza fare sfracelli, per poi tornare anni dopo ai piedi dell’Etna come calciatore e successivamente, per un breve periodo, come allenatore. Poi un giorno non meglio precisato, a metà anni 70, se ne tornò nella madre patria di là dall’oceano. Sicuramente in aereo, ma per restare nel poetico ci piace immaginarlo in nave mentre con lentezza, ripensando alla propria avventura, ai suoi quindici anni nel nostro paese, riapriva quel bel sorriso come nella figurina con la maglia rossoblu del Genoa. Forse qualcuno gli aveva detto della frase di Ciotti (o chi per lui) o forse no. Però oggi è grazie a quella che qui, nella notte italiana, un signor nessuno lo ricorda, e magari a Catania qualcuno avrà versato anche più di una lacrima: “Buen viaje señor Calvanese”.