LA LOTTA DI ILARIA CI INSEGNA CHE SI PUÒ VINCERE

LA LOTTA DI ILARIA CI INSEGNA CHE SI PUÒ VINCERE

“Mio fratello è morto letteralmente di dolore, in un ospedale. E soprattutto è morto da solo come un cane… Bastava una persona che guardasse oltre l’indifferenza, oltre il detenuto, ci vedesse un essere umano, con un vissuto, una famiglia, un qualcuno a casa che poteva interessarsi di lui…”. Quando Ilaria Cucchi pronunciò queste parole all’Ex OPG Occupato – Je so’ pazzo, proprio dentro il nostro ex carcere, il 7 novembre 2017, guardando fissa la platea, noi guardammo in basso e smettemmo di muoverci per non piangere. Perché Ilaria non ci raccontava una storia personale, ma una vicenda collettiva. Quel pezzo di paese che abbiamo conosciuto quando ci siamo trovati dentro gli uffici dello Stato, attraverso i racconti dei fratelli detenuti, passando per i corridoi di un’ospedale malmesso del Sud, ascoltando i migranti e i senza tetto. Quanta gente è morta, muore di questo, di indifferenza, di disumanità, di dolore, soli? Nelle celle, nelle corsie, nei campi… La lotta di Ilaria in questi anni è diventata la lotta di tutte e tutti noi perché è stata innanzitutto una lotta contro l’indifferenza, contro il cinismo di chi valutava suo fratello giusto un tossico, contro la brutalità in divisa e l’arroganza del potere, contro apparati freddi e meschini. Contro quello che ogni giorno viviamo sulla nostra pelle. La lotta per l’umanità è ancora lunga, certo. Ma Ilaria ci insegna che si può vincere.