UN DIRIGENTE DI FDI: “DOBBIAMO SENTIRCI LIBERI DI POTERCI DEFINIRE FASCISTI”
“Dobbiamo essere liberi di poterci definire fascisti”. Lo ha detto ieri un dirigente di Fdi. Ci crede. E come lui tanti. Come se il fascismo fosse un’idea qualsiasi. Allora noi, per rispondergli, vogliamo raccontargli una storia. La storia della signora Enrica Perucca. Nata subito dopo la guerra. Una storia che vale davvero la pena leggere. “Era il 1935, Genzano di Roma. Mio nonno era un buon cristiano, ma antifascista. Non un rivoluzionario. Si rifiutava solo di prendere la tessera del partito. Faceva l’orefice. Aveva 5 figli ed uno in arrivo dalla sua bella sposa trentenne. Succede però che in un paese una persona un po’ più in vista delle altre non poteva rifiutarsi di prendere la tessera. Semplicemente non si poteva. Non impunemente. Succede allora che una notte piombano in casa sua degli energumeni bendati e lo trascinano fuori urlando per fargli ingurgitare una bella dose di olio di ricino. Ogni notte toccava a qualcuno, per un motivo o per un altro. Poi si aspettava che il malcapitato di turno si riempisse dei suoi escrementi e lo si riportava a casa. Così accadde quella sera. Quando, molte ore dopo, mio nonno tornò a casa però non fu una notte come le altre. La sua giovane e bella sposa, non reggendo la tensione del brutale rapimento, era entrata in travaglio ed aveva cominciato a perdere molto sangue. Lui entrò a casa e trovò la moglie in un lago di sangue circondata dai cinque bambini. Non ebbe tempo di pensare, dovette agire: un figlio a chiamare una carrozza per Roma, all’ospedale. Un altro a chiamare la nonna per restare con i bimbi più piccoli. Intanto lui si lavava come poteva. Ci vollero due ore per arrivare e ricoverare la giovane donna. Rimase 40 giorni in coma, senza il suo bambino, morto subito. Mio nonno rimase con un dolore immenso e 5 figli da crescere da solo. Però Mussolini, in fondo, ha fatto anche cose buone: nel gennaio del 1943 prese mio padre diciassettenne dai banchi del liceo ed in una notte lo sbatté a combattere in Jugoslavia. Mio nonno intanto era rimasto a casa con 2 bambine. I suoi 3 figli maschi in guerra ognuno in una parte del mondo. E anche quando il 25 luglio cadde il fascismo i suoi ragazzi non tornarono a casa che 2 anni dopo. Questo è stato il fascismo. Persecuzioni spietate, vendette e umiliazioni per chi semplicemente non prendeva una tessera di partito. Mio nonno e mio padre non hanno mai permesso che dimenticassimo. E io ho trasmesso i miei ricordi alle mie figlie.” Ha dunque capito adesso, caro dirigente, perché dichiararsi fascisti non dovrebbe poter essere considerata una libertà?
