BOSNIA. CAMPO DI VUCJAK. ANTICAMERA DELL’OBITORIO. VERRA’ SGOMBERATO, MA I PROFUGHI OPPONGONO RESISTENZA

BOSNIA. CAMPO DI VUCJAK. ANTICAMERA DELL’OBITORIO. VERRA’ SGOMBERATO, MA I PROFUGHI OPPONGONO RESISTENZA

Prima che sia troppo tardi. Seicento profughi con la morte davanti agli occhi a Vucjak, Bosnia, tra i boschi, sotto zero, a pochi km dal confine croato, Se l’inverno rimane inverno per loro, soprattutto afghani e siriani, ma non solo, non ci sarebbe speranza. Morire dal freddo sotto una tenda, in mezzo al ghiaccio, nutriti e dissetati solo da qualche organizzazione di volontariato, là dove non sono “autorizzati” a rimanere e nemmeno a crepare. Finora, salvo smentite, solo due reporter italiani se n’erano accorti: Alessandra Briganti per il Manifesto e Nello Scavo per Avvenire. Una storia scomoda, anche per chi fa dell’aiuto umanitario una fede. A guardarla da vicino ci sarebbe qulcosa da ridire sul ruolo della polizia croata e di chi la comanda e magari pure sulla presidenza della repubblica di Zagabria. Ma come si fa? La Croazia è nella Nato, non si è schierata ufficialmente coi sovranisti di Visegrad e allora è preferibile chiudere entrambi gli occhi su quali possano essere le sue responsabilità istituzionali. Così è sfuggito a quasi tutti che la polizia croata, al confine con la Bosnia, venga accusata di colpe non lievi, come l’aver fatto crepare di cancrena ai piedi un profugo afghano, privato delle scarpe e fatto tornare indietro in mezzo alla neve. Oppure che un profugo sia stato ammazzato da un colpo partito “accidentalmente”. Oppure ancora le denunce per le botte rifilate a chi tentava di passare, per i cellulari sequestrati, per i respingimenti senza dare la risposta legalmente dovuta alle richieste d’asilo. Per la cronaca, alcune denunce sono pervenute al Difensore civico di Zagabria da alcuni agenti croati stanchi di essere complici di simili atrocità, ma è lo stesso Difensore civico a dichiarare che le sue richieste di intervenire non hanno avuto finora seguito in sede istituzionale. Come ebbe a dire la presidente della repubblica croata Kitarovic, quando si tratta di respingere “un po’ di forza è necessaria”.  Magari, come fa lei, vale la pena alleggerire la tensione facendo viaggi in un’Italia accogliente per progetti di cooperazione interregionali ben pagati. Oppure con qualche coro in piazza a Zagabria, urlando slogan che furono degli ustascia filonazisti (ma che, secondo lei, vanno contestualizzati). A Vucjak, nel frattempo, la vita scorre sul filo di un rasoio. I profughi in rissa tra di loro, come topi in trappola e la popolazione locale, dapprima accogliente, che non regge più di avere sotto casa una bomba umana che in Italia manco ce la sogniamo. Forse per umanità o forse perché seicento morti assiderati non sarebbero così facili da nascondere come fatto finora, qualcosa si muove. Il campo è stato additato come una vergogna da organizzazioni umanitarie e da autorità internazionali e il governo bosniaco, per quanto a corto di soldi, prepara il trasferimento dei profughi in una caserma meno periferica, vicino a Sarajevo. Tutti contenti allora? Di certo gli abitanti di Vucjak sull’orlo del collasso; così come alcuni poliziotti croati, che d’ora in poi avranno qualcuno in meno cui rifilare faticose manganellate (ma ce ne sono ancora seimila tra Bjhac e Velika Kladusa). Sotto sotto anche qualche pezzetto dell’Unione europea cui la forza della polizia croata fa tanto comodo. Tuttavia non è detto che i profughi ci stiano. Meglio rischiare la morte per assideramento che venire ricacciati lontani da quel confine con la Ue che resta l’obiettivo della loro vita. Si temono scontri, al momento dello sgombero. Qualcuno potrebbe meravigliarsene. Cosa vogliono? In fondo li salvano da una morte certa. Ma per loro, la morte, non consiste solo in una vita che si conclude fisicamente.