UN RICORDO DI BRUNO GANZ

UN RICORDO DI BRUNO GANZ

Spero che mi perdonerete se tiro fuori un ricordo personale di Bruno Ganz che risale addirittura al giugno del 1979. Avevo 21 anni. Da pochissimo collaboravo con “l’Unità”, a Milano. E spero che mi perdonerete se nell’articolo che ho ritrovato nell’archivio online (ancora miracolosamente accessibile) lo definii “tedesco” anziché svizzero, come altri hanno fatto anche oggi, esattamente 40 anni dopo, in occasione della sua scomparsa. L’avevo visto in “L’amico americano” di Wenders e forse nel “Nosferatu” di Herzog, che era uscito in Italia nel febbraio di quell’anno: lo identificavo quindi, nella mia fresca ignoranza, con quel “Nuovo cinema tedesco” che in quegli anni ci stava scoperchiando il cervello di adolescenti quasi quanto la Nuova Hollywood. Wenders, Herzog e Fassbinder stavano accanto ad Altman, Penn, Coppola e Scorsese nel nostro pantheon di giovani cinefili. Un giorno mi chiamarono dalla redazione degli Spettacoli per dirmi che in Stazione Centrale stavano girando un film (non ricordo se a chiamarmi fu Felice Laudadio, che forse nel ’79 era ancora a Milano, o se si era già trasferito a Roma e se quindi era già diventata capo degli Spettacoli Maria Novella Oppo; si parla comunque di due amici carissimi, che mi diedero entrambi grande fiducia). Mi dissero che il regista era Giuseppe Bertolucci, che fra gli attori c’erano Bruno Ganz e Mariangela Melato e che dovevo andare sul set: di notte, perché il film – “Oggetti smarriti” – era tutto in esterno notte. So che non ci crederà nessuno, ma allora funzionava così: uno si avvicinava al set, dava un’occhiata, importunava un assistente o un attrezzista e appena c’era una pausa provava a parlare con il regista. Trattandosi di un uomo adorabile e buono come Giuseppe Bertolucci, mi diede subito retta senza cacciarmi dal set. Vorrei essere chiaro: non conoscevo NESSUNO. Per me erano tutti miti visti lassù, sullo schermo, e io ero un totale sconosciuto. E non ero passato attraverso nessun ufficio stampa. Però, dal timido patologico che ero fino a uno-due anni prima, iniziando a fare il giornalista mi ero fatto venire una faccia di tolla (espressione milanese per dire “faccia tosta”) impareggiabile. Stetti un po’ a guardare il set, vidi la Melato e Ganz girare una scena, poi mi avvicinai alla macchina da presa e dissi a Giuseppe che ero dell’”Unità” e che volevo intervistarlo. Altra cosa a cui non crederete: la parola “Unità” era un lasciapassare straordinario. Giuseppe mi diede subito del tu, mi ordinò di fare altrettanto, mi raccontò qualunque cosa e poi mi disse di aspettare qualche minuto e mi avrebbe fatto parlare con Mariangela. L’incontro con la Melato fu molto emozionante – per me. Quanto era bella, oltre che brava! Mi piaceva da morire. Invece confesso che non mi fecero parlare con Ganz. Giuseppe mi disse che era “molto concentrato” e che non se la sentiva. Il pezzo comunque ce l’avevo, eccome se ce lo avevo. Per cui Ganz lo vidi solo a distanza, durante alcuni ciak in cui era sempre perfetto. Mi fa piacere ricordarlo così, oggi: e mi fa piacere ricordare anche Giuseppe e Mariangela, che se ne sono andati troppo presto. Con Giuseppe diventammo – mi sento di dirlo – amici veri. Anni dopo lo sarei diventato anche di Bernardo. Mi mancano tutti terribilmente, anche se è molto banale dirlo.