SU BORIS JOHNSON, LA BREXIT, LA GLOBALIZZAZIONE, SALVINI E MIO NONNO

SU BORIS JOHNSON, LA BREXIT, LA GLOBALIZZAZIONE, SALVINI E MIO NONNO

Mio nonno materno è campato un secolo.Cento anni.Ed è vissuto nel secolo più denso di cambiamenti della storia umana, probabilmente. Viveva a Civitavecchia, cittadina di porto nel Lazio, a pochi km dalla Toscana.E nel suo secolo di vita ha visto le prime automobili private sostituire progressivamente i cavalli, ha assistito ai primi telefoni installati negli appartamenti.Ha visto gli americani portare la penicillina che salvò la vita di mia madre bambina da una brutta malattia, ha visto le televisioni entrare a far parte, a poco a poco, del “normale arredamento” presente in tutte le case degli italiani. Ha visto gli arei alleati sparargli addosso mentre faceva la spola tra la campagna toscana in cui lui, con mia nonna e mia madre si erano rifugiati durante la guerra, e Roma, dove andava a portare i viveri ai parenti pedalando in bici sull’Aurelia. È passato, in una sola vita, da un mondo in cui per parlare con qualcuno dovevi prendere un calesse, al villaggio globale e alla comunicazione istantanea a flusso ininterrotto. Negli ultimi anni, una malattia degenerativa lo aveva reso praticamente quasi cieco.E la cosa che lo faceva più soffrire era il non essere riuscito a vedere internet con i suoi occhi.Aveva capito cos’era, come funzionava, ma non vedeva lo schermo.E questa cosa lo infastidiva parecchio. Ultimamente, ci andavo spesso a parlare.Lui era preoccupato per me, perché si rendeva conto che la mia vita sarebbe stata più difficile della sua.Eccetto per quel trascurabile particolare che si chiamava “guerra mondiale”, ovviamente.Però capiva che avrei trovato meno “spazi liberi” di lui, mi diceva.Quando lui era un giovane padre, i lavori si potevano ancora “inventare” senza l’assillo di rivolgersi a un mondo saturo di proposte, perché in fondo la concorrenza era limitata, locale, spesso localissima e concentrata nel raggio di pochi km da casa propria. Oggi no.Il mercato globale, la globalizzazione, aveva spazzato via tutti quegli spazietti vuoti tra un’idea e l’altra in cui potevi infilarti tra Civitavecchia, Tarquinia e Grosseto. Lui l’aveva capito che la globalizzazione sarebbe stata un problema.Non l’avevano capito molti di noi. E abbiamo lasciato che la destra di tutto il mondo (quella che, fino ad allora, la globalizzazione l’aveva cavalcata un po’ ovunque) identificasse il movimento No Global con un gruppo di spaccavetrine, che spacciasse i problemi derivati dalla globalizzazione e dal mercato senza regole per problemi dovuti alla circolazione degli esseri umani, che confondesse protezionismi, chiusure e “sovranismi” per armi di difesa contro un nemico immaginario.La globalizzazione? No. I poveracci che spesso scappavano dai loro paesi per gli effetti di un mercato globale deregolamentato che avevamo voluto noi. La reazione alle paure di mio nonno, un po’ dappertutto, sono stati i “sovranismi”. Sono stati quelli che hanno proposto ricette di chiusura, di ritorno al passato, di finti recuperi di finte “tradizioni”, di minchiate teologiche più simili al voodoo che all’idea di una religione praticata in uno Stato Laico.Il ritorno dell’Inghilterra al suo “splendido isolamento” dovuto, in gran parte, anche lì, alle fake news “sovraniste”, il protezionismo da operetta di Trump, la fascinazione per i leader “muscolari” come Putin (uno che fa arrestare o ammazzare gli avversari politici, ma non è un problema), Orban, Erdogan e pure Salvini con le sue nutelle, le sue cialtronate, il suo programma di odio costante, il suo voler evidentemente uscire dall’UE, ma per ora non si può dire. Sono reazioni.I grandi cambiamenti, gli sconvolgimenti sociali, portano quasi sempre a grandi momenti di risacca.Funziona come con le onde: non abbiamo governato la mareggiata e ora ci ritroviamo con il mare che arretra e ci vuole riportare, idealmente, al 1991. Ma senza agire sulle cause, ovviamente.È un “ritorno al passato” semplicemente cosmetico.Nessuno mette in discussione davvero il paradigma liberista, si discute solo degli effetti. Così, il nemico diventa “Il degrado”, i nemici diventano i poveri, non la povertà.E quella stessa gente che schiuma rabbia e digrigna i denti parlando di “italiani alla fame”, quando ne incontra uno in strada cambia marciapiede, si lamenta del degrado e chiede più sicurezza.Repressione.La ricetta della destra da sempre, oggi in copertina su una loro rivista di riferimento. È una questione di pura giocoleria semantica: si può essere vicini ai poveri italiani eppure lamentarsi perché producono degrado ed insicurezza allo stesso tempo, basta confondere continuamente i piani della narrazione.Come si può lamentarsi del “cappio europeo” e poi legarsene al collo un altro peggiore sottobanco: gli USA per gli inglesi, Putin per i leghisti. Mio nonno non aveva visto internet, ma tutto questo sì.Mio nonno aveva capito, a cent’anni, quello che la sinistra italiana, ancora oggi, non ha afferrato neanche lontanamente. Cantiamo “Quant’è profondo il mare” con i piedi affondati in una secca.