VENEZUELA: TASTIERE E MANGANELLI

Desencadenarse, liberarsi dalle catene. Un termine che ricorre spesso, oggi, nel Venezuela bolivariano, intenzionato a rompere le gabbie dello stato borghese blindando e rilanciando le proprie conquiste. Un messaggio di riscatto, organizzazione, lotta, che viaggia in senso inverso a quello neocoloniale, basato su “legalità, sicurezza, decoro” e imposto da manganelli e tastiere nell’Europa dei muri. Qui, nel circo della resa incondizionata, la dignità è bandita. Da quelle parti, invece, è una bandiera: per ridare corpo alla parola – corpo sessuato – bisogna scegliere la propria barricata. E assumersene le conseguenze. Le notizie che arrivano, distorte, dal Venezuela, andrebbero lette a specchio con quanto avviene in Italia e in Europa. Per uscire dal recinto e non abituarci alla resa.Il socialismo bolivariano ha accompagnato le occupazioni di case e di terreni sfitti, tutelando con la legge gli espropri. Un gigantesco piano di edilizia popolare (la Gran Mision Vivienda Venezuela) ha coinvolto i cittadini nel progetto di urbanistica partecipata fuori dalle logiche degli speculatori. Una delle prime leggi approvate dalle destre in parlamento dopo averne ottenuto la maggioranza avrebbe di nuovo spianato la strada agli speculatori immobiliari. Sarebbe stata cancellata anche l’avanzatissima legge sul lavoro, che le grandi imprese private hanno comunque continuato a disattivare.Entrambi gli intenti sono stati bloccati dal Tribunal Supremo de Justicia (Tsj), ago della bilancia nell’equilibrio di cinque poteri su cui si regge la repubblica bolivariana, che ha carattere presidenziale e si basa sulla democrazia partecipativa.Ben più difficile, invece, è bloccare l’attacco concentrico dei poteri forti a livello internazionale. Un poderoso tentativo per stroncare l’esperimento bolivariano ed evitare che il progetto socialista sia ancora fonte di ispirazione. La nuova tornata di sanzioni Usa che definisce un blocco economico-finanziario simile a quello che continua a opprimere Cuba, ha questo obiettivo.E arriva in questi giorni la decisione di un tribunale della Banca Mondiale (Ciadi) che impone al governo bolivariano di pagare 1.386 milioni di dollari alla multinazionale canadese Crystallex per l’eproprio compiuto da Chavez nel 2008. Allora, la multinazionale non aveva accettato né le condizioni ambientali e contrattuali, né le compensazioni offerte dal governo bolivariano per lo sfruttamento della miniera aurifera Las Cristinas, nello Stato Bolivar. E si era rivolta ai tribunali internazionali.Già nel 2016, aveva ottenuto un pronunciamento a suo favore per il risarcimento di 1.202 milioni di dollari più gli interessi. Ora, il Ciadi stabilisce che “il comportamento del governo venezuelano è stato arbitrario, poco trasparente e incoerente” e pretende di obbligare il governo bolivariano, già sanzionato e strozzato dalla guerra economica, a destinare il proprio denaro alla Crystallex piuttosto che all’acquisto di cibo e medicine.Ma, intanto, in Venezuela le organizzazioni popolari discutono le proposte per “un nuovo modello produttivo”. L’Assemblea Nazionale Costituente (Anc), che sta operando dopo il voto del 30 luglio, mira a rendere irreversibile la Mision Vivienda e le altre Misiones chaviste a favore dei settori popolari.Nell’Anc, si discute di come “costruire nuova società” ascoltando le istanze del potere popolare organizzato: andando oltre “la redistribuzione del benessere” perseguita dal chavismo dopo gli anni del neoliberismo sfrenato e dei “decenni perduti”.In Italia, siamo invece tornati al pre-’68, all’anno zero della critica antiautoritaria al legalismo piccolo-borghese. Ma con qualche segnale di buona salute. Leccare o mordere la mano che ti opprime?Contro i simboli distorti o il business del “buon samaritano”, dal socialismo bolivariano riemergono i dilemmi delle rivoluzioni. Riemergono i volti cari di chi è venuto prima, come ciottoli appuntiti o sampietrini.