DAL SOR MARIO AD AHMID. L’INTEGRAZIONE PASSA DAL FRUTTIVENDOLO
Molti anni fa, lo scorso millennio per così dire, mi divertivo ad accompagnare mio nonno a fare la spesa. Lui girava senza fretta tra i banchi del mercato, scegliendo frutta e verdura, parlando con gli operatori e con gli altri avventori, quasi tutti suoi coetanei, tra cui molte donne sole, vedove per la maggior parte. E mi divertiva sentirlo proporsi con galanteria a quelle signore che, per motivi legati all’età ed agli acciacchi, non potevano portarsi la spesa a casa. Alcune di loro però fruivano dei servizi offerti dai garzoni dei banchi, ragazzotti pieni di energia, con i foglietti dei nominativi spillati alle buste. Ricordo bene poi il pescivendolo, il Sor Mario, un omone dalla voce stentorea, sempre incline al sorriso ed alla polemica con chiunque criticasse la sua merce. Era una Roma di altri tempi, le signore osservavano l’occhio del pesce, poi le branchie, ed iniziavano, in puro dialetto romanesco, con le lamentele: “ahò, a Sor Ma, ma a me sto pesce me pare già bollito” oppure “ ma che dite Sor Mario, je lo posso dà sto pesce ar nipote mio? Che quello è na creatura, se poi s’arisente che er pesce non è fresco, ve chiamo a voi pè faje passà i dolori”. Scambi di battute e convenevoli, ed anche dal Sor Mario la consegna a casa era garantita, e già che c’era il suo garzone portava anche la frutta presa all’altro banco ed il pane preso in un altro banco ancora. Poi il tempo è passato, e tra i banchi del mercato ho iniziato ad andarci per conto mio, per la mia di spesa, per la mia casa. Nonostante siano cambiati i tempi e lo scenario, il contatto umano è rimasto lo stesso, così come i problemi legati all’età che avanza sono immutati. Anche il banco del pesce non è cambiato, così come non è cambiato l’approccio, anche se ora, nel mercato della mia zona, il pescivendolo si chiama Ahmid. Lui è un ragazzo egiziano, che ha iniziato come garzone, fino a conquistarsi la sua attività, gestendola imitando chi lo ha preceduto. È piacevole sentire le stesse osservazioni fatte dai clienti “ahò, Ahmid, ma quelle cozze so fresche o le devo affogà ner limone?”, e lui, Ahmid, risponde nel suo romaziano (romano ed egiziano), mostrando confidenza con le persone, senza distacco, così come ormai la gente non mostra più diffidenza. Certo, non può fornire la ricetta della pasta con l’arzilla, anche perché ormai quella specialità sembra scomparsa dalle tavole, ma Ahmid si ingegna, prepara i calamari ripieni, fornisce altre ricetta, alcune anche originarie del suo paese, e risponde a tono, sempre senza nervosismo, ma con quella ironia tutta romana che ha metabolizzato assieme al caffè ed al cornetto della mattina. Anche lui inoltre ha un garzone, un ragazzo romano dai capelli cortissimi e rasati ai lati, pieno di tatuaggi che Ahmid non approva, perché secondo lui spaventano la gente. Il mondo cambia, i tempi cambiano, ma quando le persone chiedono ad Ahmid una consegna, lo fanno come quando lo chiedevano al Sor Mario, perché alla fine forse è vero che, in Italia almeno, la tavola unisce, e la preparazione del pranzo o della cena passa attraverso le mani e le scelte delle persone che vendono prodotti alimentari, che si tratti di verdure o frutta o pesce. Li, nei mercati o nei ristoranti, non ci sono muri, anzi, si abbattono le distanze per cercare il contatto e la fiducia, la garanzia del prodotto o il favore, come il portare la spesa a casa. E per la signora anziana che aspetta le ciriole o per il signore che attende il merluzzo da dare al gatto, poco importa che non ci sia più il Sor Mario, perché tanto Ahmid consegna lo stesso, e va a prendersi il caffè al bar assieme agli altri, dimostrazione che le differenze non si trovano tra i banchi dei mercati, semmai sopra, tra la merce da scegliere. Sono queste storie che andrebbero raccontate per far comprendere come l’integrazione sia un fatto naturale, che nasce dalla frequentazione. La realtà ci ricorda sempre la stessa verità, e cioè che la brava gente non si riconosce dal nome, ma da come si comporta.
