QUELLA VOLTA AL CONCERTO DEI SUBSONICA NEL 2008

QUELLA VOLTA AL CONCERTO DEI SUBSONICA NEL 2008

Marco Missiroli nel suo ultimo romanzo – Fedeltà – usa una tecnica che amo: una specie di piano sequenza in cui si passa dalla vita di un personaggio all’altro,senza interruzioni. Ad esempio: in una scena complessa una donna chiama la madre e la narrazione prosegue nella vita della madre. Se qualcuno ricorda il film Crash, premio Oscar 2006: così. Giovedì sono stato al concerto dei Subsonica, a un certo punto ho pensato a quanti ne ho visti ma non ho saputo ricordarne il numero. Ricordavo bene, invece, in che punto del PalaIsozaki ero quando, più di dieci anni fa, passai il concerto a immaginare alcune storie di chi poteva essere, a vario titolo, lì, e scrissi un pippone da 19mila battute, usando un po’ quella tecnica. Era l’aprile del 2008.___ Mamma mia che freddo. Meno male che dentro si sta meglio. È la prima volta che entro in questo palazzetto. Bello. Mi aspettavo un Delle Alpi in miniatura, freddo, invece questo Isozaki è uno che ne capisce, è caldo. Dove sarà Angelica? Là in mezzo, con tutti i suoi amici. Sarà riuscita a scendere sul prato o sarà in tribuna? Che scema che sono, si sarà messa vicinissima al palco. Meno male che non le ho detto niente, ho proprio fatto bene. Se le avessi detto che sarei venuta anch’io m’avrebbe fatto una scenata. Chissà dov’è lui. Ma c’è? Boh. Potevo chiederglielo, è vero, potevo chiedere se ci sarebbe andata con Lorenzo al concerto, ma l’ho dato per scontato. O forse ho avuto paura. Ecco, ho avuto paura. Sono una vigliacca. Dove sei Samuel? Dietro al palco non si vede nulla. Croce Rossa, giornalisti, tecnici del suono. E sotto, si vedrà meglio? Direi di fermarmi qui. Abbastanza lontana, abbastanza vicina. Chissà se lo vedrò. È sempre il più alto in tutti i gruppi, ma lì sotto ci saranno cinquemila persone. Qualcuno più alto di lui lo trova. E di qui i suoi occhi blu non li posso certo vedere. Eh sì, illuminano davvero, ma qui ci sono troppe luci. Quando l’ho visto la prima volta pensavo fosse un attore, invece è al secondo anno di scienze della comunicazione e da grande vuole fare il regista. Pensa te. Davanti, alla macchina da presa, non dietro. Quando gliel’ho detto è diventato rosso. È timido, non credo abbia avuto tante ragazze prima di Angelica. Mia figlia. Sto pensando al ragazzo di mia figlia, perché è inutile che tenti di nasconderlo: io-sto-pensando-al-ragazzo-di-mia-figlia. «Ma sai dirmi dove sei/ se ti chiedo dove sei/ ti nascondi dove sei». C’era quella nel cd, quando Lorenzo salì a casa e Angelica non c’era, l’ultimo giorno di novembre. Le avevano portato via il motorino e per andare a riprenderselo dai vigili aveva ritardato. Lo convinsi a salire, dopo mezz’ora eravamo abbracciati. Quando Angelica entrò ci eravamo appena rivestiti. Dove sei, Angelica? Sei quella là, con la maglietta bianca? No, la tua è meno scollata. E hai meno seno, tu. Sei un fiore. E io sono un mostro. Un mostro che ti rovinerebbe l’esistenza, se tu sapessi. Ma non è soltanto colpa mia, no? Insomma, Lorenzo alla fine c’è stato, no? C’era anche lui, no? Ma cosa sto dicendo?! Siete due ragazzini, sono io che ho quarantadue anni e dovrei essere grande! Sono io che l’ho baciato, sono io che gli ho levato la maglietta, sono io che l’ho portato in camera. E ora sono al concerto dei Subsonica per vedere Lorenzo. Che da dodici giorni non viene più a casa. Anche tu da qualche giorno sei strana. Che ti abbia detto qualcosa? Che sia cambiato qualcosa tra voi? Non lo so, e non ci voglio, adesso, pensare. Adesso solo con la musica, sperando di intravedere quegli occhi blu come il mare della Grecia. Comunque vada. Solo musica, stasera. E Lorenzo. Anche se sono in mezzo ai ragazzini. Iniziano. a caduta liberain cerca di uno schiantoma fin tanto che sei quiposso dirmi vivo Grandissimi! Hanno iniziato con la mia preferita. Acustica, però. La preferivo in versione elettrica. Poco male. L’hanno fatta senza spegnere le luci, come volessero guardare in faccia uno a uno il pubblico. Sono grandi! Come vorrei essere là sotto! È il primo concerto che vedo dalla tribuna, starò diventando vecchio. In fondo ho quarantacinque anni. Però da qui non è male, abbastanza lontano, abbastanza vicino. E quella donna. La sto guardando da quando è arrivata. Ha qualcosa di particolare, i suoi occhi sono particolari: blu mare. E i capelli. Va abbastanza spesso dal parrucchiere, secondo me, ma non è questo. Non è bella, o almeno: dicessi che è bella e la vedesse il mio amico Luigi che di donne se ne intende, probabilmente mi consiglierebbe di cambiare oculista. E non è particolarmente affascinante, nel senso che non è appariscente: quegli stivali sopra i jeans sono assolutamente neutri, e neppure la canottiera blu è particolarmente provocante, ha poche tette. È il modo di muoversi, nonostante l’età. Avrà 40 anni, e sembrasse una ragazzina stonerebbe. Ecco, non vuole essere più giovane di quello che è, non vuole dimostrare un’età che non ha: semplicemente è giovane. Giovane dentro. Io certe cose le capisco. E secondo me, nonostante abbia la fede, non ha marito. Ma non credo nemmeno sia una di quelle che si separano, temo sia vedova. Come me, se è così. Una giovane vedova. E bella. È proprio bella. Anche il naso, che i perfezionisti dell’estetica, come Luigi, forse troverebbero un po’ sgraziato, su di lei sta benissimo. E quegli occhi: blu come il mare greco. E la bocca. Non riesco a smettere di guardarla. Che ci fa qui? È una fan storica dei Subsonica? Ha accompagnato il figlio? O è qui nonostante il figlio? Li conosce quelli che ha attorno? Cosa fa nella vita? Di giorno indossa il tailleur e porta la valigia di pelle? Guarda spesso sotto il palco. Cerca qualcuno. Secondo me sta controllando di nascosto il figlio. Secondo me è una che sniffa la coca. Di certo qualche canna se la fa. Magari vive da sola, in un appartamento nella zona della Gran Madre. Come dev’essere bella quando è nuda. Sul letto a fumare, dopo aver fatto l’amore. Il venerdì sera. È una donna da venerdì sera. Dove la trovo il venerdì sera? Non me la vedo nei locali, no. Avvicinarla? E come? Chiederle il numero? E come? Magari la intravedo all’uscita. La vedo all’uscita. Se sarà destino, la incontrerò al parcheggio e la sua auto sarà quella davanti alla mia. Come potrei affrontarla? Ha la fede, magari è la moglie di Luigi il mio amico. Giovanna, si chiama. Sento che si chiama Giovanna. Come la mia docente di biologia. Come mia moglie. Come la madre di Lorenzo. stanca, sembri solo stancanella notte biancad’indifferenza cheparla mentre guida parla,seguitando parlafa il grande ed offre lui… e il giorno non c’è più. Oddio svengo, oddio…ehi….daaaaaiiii….forza…aiutami….oddio…non fumo più, giuro che non fumo più, stavolta è l’ultima, cazzo. Ma se il Giangi la porta, eheheehe, come fai a non fumarla…madonna come gira, e questo bestione del cazzo come spinge, ma vaffanculo, coglione, che cazzo ti spingi scemo! Ommamma, oomammma…figa questa…giorniii a perdereeeee giorni a far finta di vi-ve-reeeeee…ehehe che figo…uuuhhh….madonna però gira troppo cazzo, non mi sento quasi più le gambe cazzo…e quel pirla di Lorenzo dov’è? Cazzo gira tutto e mi fa male la pancia…Lorenzo, dove sei? Perché non sei qui vicino a me? Ommamma stavolta cado giù dritta. Pensa se cado, qui in mezzo a tutte queste braccia nemmeno tocco terra. E nessuno se ne accorgerebbe. Se cado adesso sono capace di vedere tutto il concerto in terra e nessuno che mi aiuta. Mi pestano. Perché nessuno mi aiuta? Io non sono cattiva, lo giuro che non fumo più, questa è l’ultima. Amore mio dove sei? Aiutami ti prego. Mamma, mamma…mamma non c’è, mamma è a casa, mamma è morta, mamma è viva, mamma è strana, mamma è bella, mamma è mamma….mamma….uuhhh…stavolta cado, vedi come cado, cado cado cado cado cado cado…. santi burocrati sangue d’ipocritila vita spesso è una discarica di sogniche sembra un film dove tutto è decisosotto ad un cielo d’un grigio infinito. Dio, quanto amo la birra! Angelica sarà là in mezzo, fumata e bevuta, e io avevo proprio bisogno di una boccata di birra. Non si respira qui dentro. Sono marcio. E non ho nemmeno pogato, ancora. Ma che vada a pigliarsela…sento la testa che gira, cazzo. Senti come pulsa l’arteria. Dio, mi sento male. Cazzo, devo fumare. Dove sono le sigarette? Perché non ci provo a capirmi, perché? Senti come pulsa l’arteria. Centoventi battiti al minuto. Tachicardia. Madonna mi fa pure male il braccio. No, calma Lorenzo. Respira, piano, uno, due, uno, due. Respira. Pensa al medico. Pensa che non è niente, pensa che non hai niente. Ecco, uno, due, uno, due. È solo una crisi, una delle crisi. D’altronde è già successo, no? L’altra volta non era niente, no, l’han detto anche al Mauriziano, no? Uno, due, uno, due. Uff…dove sono le sigarette? Devo fumare. Ecco. Uno, due. Una bella boccata, ecco, uno, due. E il dolore al braccio? L’altra volta non era così forte, sì, adesso questo è un vero attacco cardiaco. Cazzo, chi mi soccorre? Adesso vado da quelli della Croce Rossa. No, che figura di merda. No, non posso. Non ho niente. Adesso passa. Fumo tre sigarette e mi passa. Ma l’altra volta non ero sudato così. No, okkei, stavolta sono al concerto, ci sono quaranta gradi, ecco perché sudo. Sì, è così. Sì, deve essere così per forza. Mi manca il fiato. No, respira bene. Calmo, Lorenzo, respira bene. Sì, l’aria c’è. Voglio un saturimetro. Voglio misurare il livello di ossigeno. Quant’era l’altro giorno al pronto soccorso? 99? E perché non era cento? Pneumotorace. Sicuro. Perché non era cento, perché? Uno, due, uno, due. No, è un infarto. In crisi cardiaca respiri male fumo troppo. Mangio male. È il colesterolo. Sì, è il colesterolo che m’ha fatto venire l’infarto. Ho l’infarto. No, non ho l’infarto. Adesso passa. È soltanto una crisi, una crisi di panico. Sì, devo crederci. Ci credo. Ecco. Uno, due. Uno. Due. Uno. Due. Ecco, va meglio. La colpa è di quella stronza. Mi erano passate le crisi, cazzo. M’ha rimesso l’ansia, m’ha fatto tornare l’ansia. Perché mi ha portato a letto? Io mica ci pensavo! Ma come puoi dire di no quando due cose così ti levano la maglietta e ti baciano la pancia? Dai, ora mi riprendo, e torno là in mezzo da Angelica. Non ho l’infarto. È il cuore che è impazzito. Probabilmente. Non è detto. Vedremo. Uno, due. ti farò male più di un colpo di pistolaè appena quello che ti meritici provo gusto me ne accorgo ed alloranon mi vergogno dei miei limiti e lividicome ti gira dopo un colpo di pistolati vedo un po’ a corto di numerici provo gusto me ne accorgo ed alloranon mi seccare coi tuoi alibi alibi Che palle! Ma non possono stare a casa? Che senso ha bere e fumare e venire qui a stordirsi? Ai miei tempi non succedeva, o ai miei tempi avevamo più il fisico, boh. Di certo è che non rompevamo le palle alla gente come ora. Guarda, ha senso? Ha senso che si ammucchino lì in mezzo? Eccerto che svengono! Come potrebbero non svenire? Tutte uguali, poi, tutte! Quindici o vent’anni, magre, mezze nude, peseranno quaranta chili…certo che svengono. Sverrebbero pure se non avessero bevuto e fumato. Che lavoro di merda. Dico, quando salviamo chi davvero sta male, quelle sì sono soddisfazioni. Ma venire qui ti fa solo incazzare. Qui a perdere tempo. Ma non possono stare a casa? Noi serviamo sulle strade, dove ci sono gli incidenti, dove ci sono gli infarti, mica qui. Toh, guarda, ce n’è un’altra. Risucchiata dai gorilla in mezzo, proprio sotto il palco, portata qui, le alziamo le gambe, uno zucchero e via. E nessuno che ti ringrazi. Niente, mai. Un grazie non è più di queste generazioni. Ma guarda questa. Uguale alle altre. Maglietta bianca, zero tette, jeans che le scoprono mezzo culo…eh machemmondo! Questa è crollata proprio. Ehi, su, dai. Svegliati. Questa è peggio delle altre. Oh. Tu. Forza. Dai. Su. Ehi, ehi, oh, ragazzi! Ragazzi! Dai, respira, su. Questa non respira! Oh, forza! Cazzo, ragazzi, questa è in arresto! Cristo! Dai, svegliati. Porca puttana! Forza, aiutatemi! Cristo, è in arresto. Dai, attacca la macchina, dai, oh cazzo, cazzo, cazzoooooo! e rimarrà forse il vuoto di noia disarmare i rimpianti che soper ricordarci in un attimo chepasserà.sugli edifici e sui cieli di noi,sulle stagioni e sui nostri perchénuvole rapide, e un attimo chepasserà. Ehi ma qui si balla. Al concerto dei Subsonica si balla. E riesco a non pensare a Lorenzo. L’avevo dimenticato che ai Subsonica si balla. È bellissimo! Mi sento benissimo, uh-uh! Fantastico. Non voglio pensare a Lorenzo, questa sera, questa sera esisto io, solo io! Tanto saranno là in mezzo, lui e Angelica, e si staranno divertendo. Se lo vedo, bene, sennò amen. No, un momento, non posso vederlo. Perché se vedo lui vedo Angelica, e cosa le racconto? Pazienza, non ci voglio pensare, voglio soltanto ballare, bal-la-re, bal-la-re! vorrei una discoteca labirintobianca senza luci colorategrande un centinaio di chilometridalla quale non si possa uscire Non riesco a staccarle gli occhi di dosso. Dio, quant’è meravigliosa. Sta ballando come una ragazzina. No, non sta ballando come una ragazzina, è una ragazzina. È splendida, voglio soltanto poterla guardare più a lungo che posso. Non guarda nemmeno più sotto. Non sento nemmeno più la musica. Tra poco questo concerto finirà e pure il sogno della donna senza nome. Ecco, mi sa che finisce prima del previsto. Chi cazzo è che mi chiama? Lo sapevo. L’ospedale. Mi chiamano. Ero reperibile. Non mi chiamano mai. Quasi mai. Stavolta è la volta quasi. Andiamo. Sogno finito sul nascere. Ti mando un bacio, dea di una sera. in questa notte che il nome ho scordato,in questi giorni che il nome ho scordato,sento le voci da dietro le sbarre,sento le voci entrare nel ferro Cazzo, va meglio. Torno in mezzo. Va’ a sapere ogni volta, i miei pensieri. Boh. Saremo in dodicimila qui. Chissà quanti hanno le crisi di panico. E chissà chi morirà per primo. La contabilità di Dio, ci vorrebbe. Quella che quando muori passi prima da un ragioniere che ha tenuto il conto di tutto quello che è successo nella tua vita. Quante sigarette hai fumato, le volte che ti sei masturbato, le volte che hai ascoltato “Incantevole” intera, le volte in cui ti hanno interrotto. E quante crisi di panico hai avuto. Ecco, io ne avrei già un bel numero. E pensare che a papà non ho ancora detto niente. Un giorno o l’altro dovrò dirglielo. Ma lui è un chirurgo, che ne capisce di crisi di panico? Chissà dov’è. Dovrebbe esserci anche lui qui, stasera. Anche a lui piacciono i Subsonica. Se è per questo ha anche l’Harley Davidson. E qualche volta si fa le canne. Ma non è giovane, papà. Lui vuole fare, il giovane. Non capisce un cazzo. più giù più giùsto precipitando forse sto volandopiù giù più giù(in depre senza rete) L’abbiamo ripresa. Cazzo, appena in tempo. È andata in shock. Giù come un masso da un dirupo, dritta. Svengono in tante, ma come questa poche. Anzi, nessuna. Bello spavento, nulla da dire. Al Pronto delle Molinette hanno detto che è quasi peritonite. Dico, io, ma se stai male stai a casa, no? Che cazzo vieni al concerto? Valli a capire i giovani d’oggi. Comunque la operano. Hanno chiamato il reperibile. Ogni tanto capita che t’affezioni. Questa mi stava simpatica. Perché non sembrava come le altre. Angelica, si chiama, dalla patente. Un viso davvero angelico. Nomen omen, no?, dicevano i latini. Questa si vede che ha una famiglia come si deve. Anche se la madre non ha risposto al cellulare. E nemmeno a casa. Comunque è in buone mani. Torniamo al palazzetto, e speriamo il concerto sia già finito, che per stasera abbiamo dato. a porte chiuse l’incubodomestico imprevisto è gelidogente tranquilla giuranogente che chiedeva dove andremo a finire “Lorenzo!”“Signora…ma…Angelica?”“Angelica? Lo chiedo io a te. Dov’è?”“Non lo so, ci siamo persi, non l’ho più vista?”“Come non l’hai più vista?”“No, eravamo sotto il palco, la ressa…sarà andata a casa con gli altri, ma lei che ci fa qui?”“Che ci faccio qui? No, cazzo, ma l’hai chiamata?”“Mannò, stia tranquilla, sarà andata a casa con il Ganga…anzi, sono pure arrabbiato”“Senti, ma…”“Ma?”“La macchina tua, dicevo…”“No, veramente stavo andando ai mezzi, ero anch’io col Giangi…““Pensavo che potrei darti un passaggio“ sogna una carne sinteticanuovi attributi e un microchip emozionalesogna di un bisturi amicoche faccia di lei qualcosa fuori dal normaleBene, è andata. Era peritonite, non dovrebbero esserci problemi, domattina vedremo il post operatorio ma sono ottimista. Un medico, se lavora bene, è sempre ottimista. Deve, esserlo. E per stanotte direi che può bastare, posso andare tranquillo e di corsa a casa. Chissà il concerto com’è finito. E chissà la donna che ho chiamato Giovanna. Magari si chiama Angelica, come la mia paziente. Chissà. Hanno gli stessi occhi, gli stessi occhi blu. Gli stessi occhi blu di mio figlio Lorenzo. Sono le 2, un po’ tardi per chiamarlo. A quest’ora starà dormendo. O magari è con la sua nuova ragazza. È timido, chissà cosa fa e cosa non fa, di solito non parla molto. Adesso ancora meno, adesso che vive da solo è un miracolo vederlo. Magari è con la sua tipa. Ma io lo chiamo lo stesso. Sono pur sempre suo padre, no? Gli chiedo del suo concerto, e gli dico del mio interrotto. E casomai avesse visto anche lui una dea dagli occhi blu. dai virus della mediocritàdai dogmi e dalle televisionidalle bugie, dai debiti, da gerarchie, dagli obblighi e dai pulpitisquagliamocela “Il cellulare”“Rispondi”“Chi sarà a quest’ora?”“Angelica”“Cristo, Angelica. E cosa le dico?”“E cosa le dico anch’io”“Non rispondo”“No, rispondi”“Guarda almeno chi 蔓Cazzo, mio padre, non è Angelica”“Rispondi”“Rispondo” scorre sui tuoi alibiscorre sui rimpiantiscorre su di noi Quando Angelica si sveglia sono le quattro della notte che accompagna il dodici dicembre al tredici. Giovanna, accanto, ha passato le ultime due ore a scacciare dalla testa un fantasma, a giurare che la seconda volta sarebbe stata l’ultima, a chiedere perdono al marito che in quel letto, il numero sedici, visse parecchi anni prima gli ultimi mesi della sua vita. Risponde al sorriso della ragazza abbracciandola delicatamente e baciandola sugli occhi socchiusi. Blu.In un palazzo della Crocetta un chirurgo depone l’ultimo pensiero alla sua dea di una sera e si addormenta. Un ragazzo conta le pulsazioni e si accende l’ultima sigaretta della notte, gettando via il fumo da un abbaino di via Mazzini. Alla Cenisia un infermiere saluta la moglie con un bacio e le si corica a fianco.A San Salvario, Samuel e Boosta salutano l’oste, camminano verso l’auto, guardano il cielo. per il mio tempo che nei tuoi occhi è imprigionatoper l’innocenza che cade sempre e solo a latoper i sussuri mischiati con le nostre gridaed i silenziper il tuo amore che è in tutto ciò che gira intornoacquista un senso questa città e il suo movimentofatto di vite vissute piano sullo sfondoun altro giorno un’altra ora ed un momentodentro l’aria sporca il tuo sorriso controventoil cielo su torino sembra muoversi al tuo fiancotu sei come me…