CEO SI TAGLIA LO STIPENDIO, POI CHIEDE PIÙ TASSE PER LUI: “PER I SENZATETTO”

CEO SI TAGLIA LO STIPENDIO, POI CHIEDE PIÙ TASSE PER LUI: “PER I SENZATETTO”

“Oggi ho trascorso ore nella capitale dello stato di Washington per implorare i legislatori a tassarmi di più. Una nuova tassa sulle imprese dell’area di Seattle finanzierebbe i servizi per i senzatetto”. Torna alla ribalta con un discorso che susciterebbe l’ammirazione del più cinico degli imprenditori, il CEO che in tempi non sospetti, e non senza ragione, era stato definito “il miglior boss d’America”: sono passati circa cinque anni da quando aveva deciso di ridursi lo stipendio di 930mila dollari, passando da una retribuzione annua lorda di 1 milione di euro a circa 70.000, con il fine unico di garantire una redistribuzione della ricchezza all’interno della sua azienda. Ora lo vediamo tornare alla ribalta, con un discorso pronunciato davanti ai legislatori dello stato di Washington per convincerli a varare una legge che imponga una tassa in favore dei senzatetto. Vive a Seattle, si chiama Dan Price, ed è fondatore della startup Gravity, azienda leader nel settore dei pagamenti elettronici. C’è uno studio piuttosto noto, alla base delle sue decisioni, una teoria secondo la quale la felicità umana andrebbe ad aumentare in modo direttamente proporzionale all’innalzamento del reddito fino a una certa soglia, superata la quale, questo andamento tenderebbe a invertirsi. Una teoria che ne ha certamente influenzato l’agire – come egli stesso aveva dichiarato – stabilendo una nuova forbice all’interno della sua azienda, che ne prevedesse una redistribuzione della ricchezza, andando da una retribuzione minima di 70.000 euro, destinata ai lavori meno specializzati, a un massimo di 250.000 euro, diminuendo in modo incisivo le disuguaglianze rispetto agli anni passati, quando si andava da una retribuzione minima di 30mila euro, a una massima di 1 milione. Ma poiché la strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni, nel giro di poco tempo la sua stessa decisione ha portato un aumento del prezzo delle case a Seattle – all’aumento del reddito dei dipendenti, la domanda è inevitabilmente aumentata – suscitando il cosiddetto “effetto boomerang”. La questione ha posto i riflettori su un’altra piaga, assai sentita negli USA, quella dei senzatetto, per la quale Price ha chiesto stavolta l’intervento da parte della sfera pubblica. “Abbiamo bisogno che questo organo faccia il proprio lavoro” afferma dai microfoni dell’aula “Non possiamo risolvere questi problemi strutturali attraverso iniziative private, ci abbiamo provato e riprovato. Abbiamo bisogno che ognuno di voi si impegni nella ricerca di soluzioni democratiche che possano garantire l’integrità in un sistema di cui tutti facciamo parte”. E prosegue: “Questa legge mi costerà del denaro, pagherò per questa legge, ma mi costerà comunque meno del party aziendale “Ritorno agli anni 90” in cui ne abbiamo buttato tanto. Non abbiamo bisogno di un altro party aziendale, l’anno prossimo. Abbiamo bisogno di sostegno per i senzatetto”. Con un discorso magnanimo e di un’onestà intellettuale disarmante, il CEO trantacinquenne mette in campo un tema su cui è necessaria una riflessione in più: partendo dal presupposto che l’intervento di ognuno può davvero fare la differenza, l’ostacolo davanti al quale i risultati dell’agire individuale si arrestano rimane sempre lo stesso, il Mercato. Si va alla ricerca di un benessere maggiore attraverso un reddito più alto; se si è fortunati – o bravi che dir si voglia – si riesce anche a ottenerlo, e poi ci si ritrova intrappolati nello stesso meccanismo, a causa di un’economia che ricomincia a girare e che prima o poi presenterà nuovamente il conto. Un circolo vizioso destinato a non interrompersi, salvo ammettere una volta per tutte che la cosiddetta società del benessere divenuta sempre più un’utopia, è in realtà un miraggio pieno di insidie. Lungi dall’invito a una vita frugale o a vivere dei frutti della propria terra, quello che diviene sempre più urgente è accompagnare queste necessarie azioni a un intervento di tipo culturale che mira a cambiare alla base la percezione di benessere individuale, mettendo in campo altri elementi di arricchimento che, se coltivati, forse un giorno arriveranno a interrompere quei meccanismi di domanda e offerta su cui attualmente si regge l’economia e che stanno rivelando in modo sempre più chiaro le loro falle. Un intervento per certi versi meno complesso di quanto si possa pensare, poiché in alcuni casi basta invertire alcuni fattori per cambiare completamente il significato, e quindi il messaggio, legato a certi fenomeni, come lo studio sulla felicità di cui sopra, che si limita a misurarla in denaro. È vero che i soldi, volenti o nolenti, sono la chiave d’accesso a quei valori “spiritualmente più elevati” in grado di garantire questo tanto auspicato benessere psicofisico – uno per tutti l’indipendenza – ma è altrettanto vero che far partire un’eventuale riflessione sulla felicità dal guadagno crea un’incredibile confusione. Il problema, come spesso accade, non è di sostanza ma di come viene posta la questione. Cominciare a parlare del fine piuttosto che del mezzo potrebbe già essere un primo passo, e, tornando al nostro simpatico manager, si può dire che questa sia stata la vera proposta rivoluzionaria dietro il suo agire. Auspicare una società dove le disuguaglianze diminuiscano, dove si pone l’attenzione a frange di popolazione più deboli sono valori assoluti per i quali il denaro non è che un mero mezzo. Azioni rivoluzionarie, dunque, ma per le quali sono necessarie idee altrettanto rivoluzionarie e se il singolo riuscirà a porle all’attenzione dell’opinione pubblica, allora un vero cambiamento diverrà qualcosa di possibile.