CORONAVIRUS, DALLE NOSTRE COLPE A QUELLE TEDESCHE: MA ORA È TEMPO DI AGIRE

CORONAVIRUS, DALLE NOSTRE COLPE A QUELLE TEDESCHE: MA ORA È TEMPO DI AGIRE

Sul finire di febbraio, alla chetichella e senza coperture particolari da parte della grande stampa, più di qualcuno (compreso il sottoscritto) cominciò a domandarsi come mai il governo pur avendo dichiarato lo stato di emergenza nazionale già il 31 gennaio fosse stato tardivo nel prendere le misure del caso per contrastare il contagio da coronavirus. Con questa premessa ieri 26 marzo Il Fatto quotidianopubblica una analisi impietosa a firma di Davide Milosanella quale si dimostra per tabulas (lo scoop sta in primis nella pubblicazione di alcuni brani di un documento ministeriale) di come il dicastero della salute fosse a conoscenza della gravità della situazione. «Due mesi e 21 giorni fa – si legge nell’inchiesta di Milosa –il governo già sapeva, ma nulla è stato fatto. Ai primi di febbraio addirittura si ha la certezza che SarsCov2 manderà al collasso le terapie intensive. Mancano tre settimane al caos, ma la macchina istituzionale non parte». E la ricostruzione prosegue: «Torniamo al 5 gennaio. L’Italia attende come al solito la vigilia della Befana. Il rischio di un’epidemia resta confinato a oltre 10mila chilometri di distanza. Tanto più che nemmenodalla città di Wuhan arrivano notizie drammatiche. Eppure laggiù SarsCov2 gira dal 23 ottobre. Decine di casi di polmonite grave si trasformano in poche settimane in Covid-19 conclamati». Sempre Il Fatto cita poi il documento che era stato redatto dai funzionari del dicastero della salute: «I segni e i sintomi clinici consistono principalmente in febbre, difficoltà respiratorie, mentre le radiografie al torace mostrano lesioni invasive in entrambi i polmoni». Si tratta, spiega il quotidiano romano, delle ormai note polmoniti interstiziali bilaterali. Tutto, dunque,era già scritto oltre due mesi fa. Anche perché di lì a pochi giorni quella eziologia sconosciuta si rivelerà un patogeno molto aggressivo per il quale non c’è vaccino né cura. Eppure, prosegue Milosa, «si prosegue come nulla fosse. Gli italiani nulla immaginano. I vertici sanitari invece sì». Se ne ricava che uno stato di cose del genere avrebbe dovuto obbligare lo stesso governo nonché gli organi centrali competenti a compiere due passi importanti:mettere la Bergamasca in isolamento(cosa che seppur necessaria de facto non è avvenuta per le pressioni di alcuni industriali di peso su palazzo Chigi) ed informare i medici di famiglia italiani del dettaglio dei sintomi sospetti in modo da permettere agli stessi medici territoriali di indirizzare le persone potenzialmente contagiate presso strutture, già funzionanti o approntate alla bisogna,in modo da contenere da subito l’emergenza. Strutture però che non esistono: sia perché la macchina ha reagito tardi, sia per i tagli con cui la sanità pubblica negli ultimi anni è stata decimata. La ricostruzione de Il Fatto cambia completamente le carte in tavolae obbliga a riscrivere la narrazione di queste settimane drammatiche. Che oltre a colpire il Paese sul piano della salute e della tenuta psicologica lo stanno mettendo a dura prova sul piano economico. Ora per quanto riguarda il versante dei conti l’Italia, che per l’emergenza sanitaria rischia uno shock economico epocale,è anchilosata da un debito pubblico monstre: in parte causato da anni politiche scellerate nonché di corruzione galoppante, in parte causato dalle tagliole piazzate sul nostro percorso dagli overlord della finanza internazionale. E questo è il ring sul quale si sta disputando un match europeo senza esclusione di colpi. Un match nel quale i Paesi dell’Europa Settentrionale, Olanda e Germania in testa, non ne vogliono sapere di condividere il fardello degli aiuti per superare la crisi. In questi giorni sui quotidiani si sono consumati fiumi di inchiostro sulla rigidità dei politici delle nazioni del nord. Tuttavia i media fanno un po’ di fatica a ricordare chein Germania il mondo politico non è monoliticamente schierato sul fronte del feticcio dell’austerity. Basti pensare alle storiche reprimende del partito Die Linke nonché del suo alfiere Gregor Gysi contro la miopia della nozione del rigore. Per non parlaredelle straordinarie aperture verso la condivisione del sacrificio di un partito in crescita come i Verdi tedeschi: i quali sono in assoluto la formazione ambientalista più forte d’Europa, una formazione che ha nel suo dna anche la difesa dei diritti sociali. Ebbene la politica italiana con questa galassia dissenziente tedesca non ha stabilitoalleanze degne di questo nome. Non ha stabilitocanali diplomatici degni di questo nome. Mentre le lobby statunitensi, britanniche, francesi, tedesche, israeliane, russe e cinesi sono ben attive in Italia e partecipano al dibattito (nonché ai nostri affari) in modo molto pressante, alle volte al limite e oltre l’ingerenza, la cosiddetta lobby italiana nel mondo germanico, ammesso che esista, è afona. Basti pensare che su internet non esistono pubblicazioni in Tedesco che propugnino almeno la parte migliore o più presentabile delle nostre istanze. Sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung o sulla Süddeutsche Zeitung, per esempio, quanti interventi sono stati pubblicati in cui si elencano senza pregiudizi, le necessità di un Paese colpito dal virus come l’Italia? E in Italia chi parla invece di quelle voci sulla stampa tedescache nei confronti del Belpaese sembrano avere un occhio di riguardo?Italia, emergenza sanitaria in primis, è in buona compagnia peraltro. Ora lasciando un attimo da parte ogni speculazione sul futuro dell’Europa, l’Italia è da troppo tempo carente su questo fronte. I tedeschi hanno molti difetti,ma hanno una opinione pubblica che se messa seriamente di fronte a un problema è in grado, meglio di noi, di riflettere seriamente anche su sé stessa. Per procedere in questa direzione però serve produrre idee di valore e di qualità. Oltre le Alpi occorre intercettare quella porzione di opinione pubblica meno incline a seguire la logica degli steccati, ma per poterlo fare serve cimentarsi con seri e profondi contenuti politici e culturali. Occorre misurare la bontà delle nostre idee con dibattiti, campagne, libri, video-documentari che siano condotti rigorosamente «a casa loro»: il tutto nel nome della correttezza e della verità. E poi servirebbe un sacrificio da parte nostra. Dovremmo cominciare a far capire, se questo è davvero ciò che il Paese vuole, che vogliamo chiudere i conti con un passato fatto anche di scorciatoie. C’è bisogno di far capire che se per caso l’Europa nel suo complesso si caricherà sulle spalle il peso degli stimoli per uscire dalla quota parte anche della nostra emergenza, noi Italianinon ne approfitteremo per fare tana libera tutti pure nei confronti di chi non merita nulla perché ha imbrogliato. In questo senso un primo segnale potrebbe essere quello di bloccare tutte le grandi opere inutili come il Tav che da anni drenano risorse alla collettività più di un buco nero. Costo dell’operazione: zero. Poi potremmo cancellare dal codice dei contratti pubblici la norma che consente la realizzazione delle opere pubbliche col meccanismo del project financing, una pratica che negli anni c’è costata miliardi e miliardi di debito pubblico occulto perdite colossali che specularmente divenivano guadagni privati astronomici. Se questo scarto avvenisse con decisione acquisiremmo una incontestabile credibilità nella parte più sensibile dell’opinione pubblica tedesca. Una credibilità che anche i più occhiuti a quel punto dovrebbero considerare. Ma per procedere con questo cambio di paradigma,oltre a diventare davvero un popolo, a noi Italiani serve forza di volontà. Serve la consapevolezza che certi blocchi sociali, certe rendite di posizione e certi blocchi di poterenon possono più esistere, pena il nostro collasso.