DALLE PRIMARIE BUONE NOTIZIE PER IL PD, MA ANCHE NODI DA SCIOGLIERE

DALLE PRIMARIE BUONE NOTIZIE PER IL PD, MA ANCHE NODI DA SCIOGLIERE

Alla fine, dopo tante parole (in realtà non poi così tante a dire il vero), si sono tenute le primarie del PD e, va detto, sono state una sorpresa: si parlava di una consultazione di nessun interesse per l’elettorato, di un risultato che, con tutta probabilità non avrebbe comunque sancito un vero vincitore. Invece, per la serie tutti bravi a predire i risultati il giorno dopo, alle primarie si è presentata una marea di persone, più di 1.800.000, e l’indicazione del segretario è stata netta: Zingaretti ha prevalso con quasi il 70% dei voti. Certamente una buona notizia per il PD e, in generale per la democrazia che, per funzionare, necessita di alternative credibili. Una bella giornata per diversi motivi. Prima di tutto vedere quasi due milioni di persone partecipare ad una consultazione politica, peraltro versando anche un piccolo contributo economico, fa ben sperare perché, come diceva Gaber, “la democrazia è partecipazione”, senza dubbio queste primarie ne sono state un bell’esempio. Il risultato, in più, consegna il primo partito d’opposizione ad un segretario che, piaccia o no, prende il timone pienamente legittimato, tanto nella guida del partito che nella scelta della direzione politica da intraprendere. Il tutto rafforzato da una composizione dell’assemblea nazionale che assegna a Zingaretti una decisa maggioranza. E’ poi stata una bella giornata perché, diciamocelo, molte di quelle persone che si erano incantate ripetendo incessantemente “Maalox” o “rosicate”, dopo l’uno due della manifestazione di Milano e un milione e otto alle primarie, iniziano ad essere meno baldanzosi: ancora sono nella fase dello scherno e dell’ilarità, ma si vede bene da certe reazioni scomposte, prima fra tutte quella del “padre del movimento”, che di questo passo un giretto in farmacia per prendere un po’ di Maalox lo dovranno fare loro. A proposito di padri, è stata una bella giornata anche grazie al padre di Di Battista che ha provato a fare il bullo ma ha finito per fare il pollo e, se le colpe dei padri non devono ricadere sui figli, quando gli uomini da poco si manifestano per quel che sono, è sempre una bella giornata. In fin dei conti, quando chi fa spallucce su questo evento è riuscito a malapena a far votare 50.000 persone on line, da casa e gratis, quando chi critica il fatto che ci fossero pochi candidati credibili, poche donne nel direttivo, poca rappresentatività, non ha mai potuto realmente esprimere una propria opinione nel partito d’appartenenza, risulta fin troppo facile approcciare quei commenti con certo orgoglio e con una discreta sensazione di superiorità. Però non è tutto oro ciò che luccica e, spiace dover evidenziare anche il rovescio della medaglia in un giorno in cui in molti vorrebbero solo godersi una giornata finalmente positiva, di nodi da sciogliere se ne vede più d’uno all’orizzonte. Del resto carnevale sta per finire e dopo, come sempre, arrivano le ceneri e la penitenza. Primo nodo: Renzi. Ok, tanto inutile girarci troppo intorno o far finta di nulla. L’ex segretario ha avuto, nonostante la propria dichiarata astensione dalla corsa per le primarie, sia intesa come corsa in prima persona che come appoggio ad un candidato, un ruolo importante, se non altro per il numero di persone che si sono convinte a votare alle primarie proprio per archiviare quell’esperienza. Se infatti nelle previsioni si parlava di bassa affluenza e di risultati in bilico, con Zingaretti sul tocca-non tocca della soglia del 50%, è presumibile che, visti i risultati reali, la differenza l’abbia fatta il numero di persone spinto ad andar a votare proprio dal rischio di ritrovarsi un segretario non eletto ed una assemblea nazionale spaccata, scenario in cui sarebbe tornato in gioco anche Renzi. Un milione e ottocentomila votanti, con Zingaretti quasi al 70% invece, sono un segnale di chiusura netta verso quell’esperienza, una bocciatura senza appello che, nei fatti, delegittima ogni tipo di ambizione interna di Renzi e dei suoi, fino ad oggi maggioranza silente nella direzione del partito ed ora relegati al ruolo di minoranza poco influente. I renziani hanno fino ad oggi assicurato che, chiunque sarebbe stato il segretario, avrebbero garantito l’appoggio, riservando un trattamento differente a quello che ritengono di aver subito loro, caratterizzato dal così detto “fuoco amico”; del resto sia lo stesso Renzi che, per fare un altro nome, Maria Elena Boschi, si sono subito espressi coerentemente con quanto annunciato non appena i risultati delle primarie sono stati pubblici. C’è però da fare una considerazione: un conto è assicurare lealtà ad un segretario nell’idea di essere comunque in grado di dare le carte nel partito, un conto è farlo in una situazione di assoluta minoranza, specialmente se quel segretario ha una linea politica completamente divergente dalla propria. Il tutto acquista ulteriormente significato sulla base di una ulteriore valutazione: Renzi viene da una serie di incontri per la presentazione del proprio libro in cui è stato accolto, al di là delle proprie stesse aspettative, da un numero veramente elevato di persone e da un supporto che non vedeva probabilmente attorno a se da molto tempo. Se queste manifestazioni di approvazione non si sono tramutate in voti alle primarie, oltre dal fatto che lui non fosse direttamente coinvolto, potrebbe derivare anche dal fatto che non tutta quella folla si riconosce nel PD, portandolo a pensare che, in fondo, una sponda fuori dal partito esiste. Peraltro, al di la delle dichiarazioni di fedeltà dei leader di coalizione, i malumori nella base della corrente sono chiaramente leggibili su molti commenti social. Secondo nodo: Calenda. L’ex Ministro è stato l’unico che, in un periodo di assoluta immobilità del partito, ha avuto uno spunto cinetico con la pubblicazione del manifesto di Siamo Europei, manifesto che il PD ha peraltro sottoscritto in toto, Zingaretti compreso. Quel manifesto però è decisamente lontano dall’idea di partito che il neosegretario ha descritto e, se in un momento in cui tutto pareva mediaticamente di maggiore appeal che presentare una lista PD la sottoscrizione pareva scelta obbligata, il risultato delle primarie legittimerebbe Zingaretti ad una rivalutazione anche in chiave delle prossime europee. Certamente nessuno degli esponenti della neo-minoranza potrà rompere adesso senza essere mediaticamente fatto a pezzi, motivo per cui, almeno per il momento tutti faranno buon viso a cattivo gioco. La prima vera occasione di scontro arriverà probabilmente quando (o se) il Governo andrà in crisi e si riproporrà prepotentemente il dibattito interno sul dialogo con i 5 Stelle. Sul tema specifico tutti i candidati alle primarie si sono espressi, seppur qualcuno in maniera meno decisa degli altri, in maniera negativa. Una modifica di questa posizione potrebbe essere la miccia di un nuovo, ennesimo, chiarimento interno. Il tutto in un quadro politico che vede anche la componente moderata del centro destra sopravvivere in spazi sempre più ridotti, fagocitata da una Lega che ancora pare affetta da bulimia politica. In ogni caso, oggi almeno, è ancora carnevale e rimane una bella giornata.