REDDITO DI CITTADINANZA: “NON PASSA LO STRANIERO”
I cittadini extracomunitari in condizioni di povertà, che cercheranno di ottenere il reddito di cittadinanza, saranno costretti a tornare in patria per procurarsi i documenti che riguardano reddito, patrimonio e composizione del nucleo familiare. Nel giorno in cui si apre la stagione della caccia al beneficio, con il via alle domande, è questo l’ultimo, assurdo ostacolo per tenerne lontani gli stranieri. La denuncia è dell’Asgi, l’Associazione per gli Studi giuridici sull’immigrazione, che valuta le conseguenze di un emendamento approvato al Senato, dove è in discussione la conversione in legge del Decreto sull’introduzione del ReC, che poi dovrà passare alla Camera. Gli stranieri “non comunitari” dovrebbero in particolare presentare una documentazione rilasciata dalla “competente autorità dello Stato estero” tradotta e legalizzata dai nostri consolati nel Paese d’origine. Ma in un test già condotto per una vertenza giudiziaria che ha investito il comune di Lodi, i nostri consolati, da quello in Ecuador a quello in Egitto o in Marocco, si sono dichiarati nell’impossibilità di compiere un lavoro del genere. Se la Camera confermasse l’emendamento del Senato al decreto legge, gli immigrati in questione dovrebbero dunque prendere l’aereo e tornare in patria a trovare i documenti. “Un emendamento senza alcun senso – afferma l’avvocato Alberto Guariso, del Servizio Antidiscriminazione dell’Asgi – Queste persone, fra l’altro, vivono da molti anni con noi, e hanno anche figli nati in Italia: cosa sa, meglio di noi, il loro Paese? E con quale criterio economico valutare la loro eventuale casa in Sudan, o i 50 metri quadri posseduti a Dakar?” Le norme sul Reddito di cittadinanza, prevedono infatti che, in aggiunta alla casa che si abita, si possa detenere un patrimonio immobiliare non superiore ai 30 mila euro. Ma fra l’altro chi, in Africa, avesse simili proprietà sarebbe un nababbo, senza alcun bisogno di emigrare. L’emendamento, pertanto, ha uno scopo esclusivamente dilatorio, rafforzato dal fatto che, a 90 giorni dalla conversione in legge, il ministero del Lavoro dovrà emanare un decreto con la lista dei Paesi dai quali non è possibile ottenere alcuna documentazione. Per i non comunitari, dunque, quella del 6 marzo è nient’altro che una partenza falsa. Ma nel decreto vi sono altri due ostacoli per i cittadini che non provengano dai Paesi dell’Unione. “Viene imposto loro, come requisito essenziale, il possesso del permesso per lungo soggiornanti, che può essere richiesto dopo cinque anni di lavoro regolare e a patto che si abbia un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale, cioè a 6 mila euro. Ma questo – spiega ancora l’avvocato Guariso – è esattamente il tetto di reddito che viene richiesto a tutti per ottenere il Reddito di cittadinanza, con la successiva correzione dell’Isee. E non il limite di “ricchezza finanziaria”, come impropriamente hanno scritto alcuni giornali. Quindi, la norma esclude i cittadini non comunitari più indigenti, e costituisce una disparità di trattamento, che viola l’articolo 3 della Costituzione e che certamente denunceremo alla Consulta”. Fra le altre cose, dei 3 milioni e 700 mila immigrati extracomunitari del nostro Paese, ben il 64,3 per cento, secondo il Dossier Immigrazione Idos del 2018, è in possesso del permesso di lungo soggiorno, prova di un’integrazione di fatto che spesso stentiamo a riconoscere. Il governo stesso, all’inizio, non aveva valutato questo dato, e così è stato indotto a porre un ulteriore ostacolo: che tutti i richiedenti, italiani e non, risiedano da almeno dieci anni nel nostro Paese. “Ma questa norma danneggia molto più gli stranieri degli italiani, ed è del tutto sproporzionata. Anche qui si viola l’articolo 3 della nostra Carta, e non mancheremo di rivolgerci alla Corte costituzionale”. Comunque la si metta, il decreto sul Reddito di cittadinanza sembra mosso da un intento bellico: “Non passi lo straniero”. Altrimenti, con l’effetto boomerang, sarebbero guai per il governo gialloblu.
