RELATIVA OPACITÀ DELLE SCELTE E NATURE GENETICAMENTE NEFASTE

RELATIVA OPACITÀ DELLE SCELTE E NATURE GENETICAMENTE NEFASTE

L’estate mi faccio un obbligo e un piacere, anche se non sempre sono ciambelle che riescono col buco, di leggere qualche noto best seller. In genere mi paiono letture indovinate un po’ perché, se sono best seller, vuol dire che hanno già avuto l’apprezzamento di molti lettori, talvolta milioni; e un po’ perché adatti alle serate più calde quando, sotto il fresco dei pini, persino l’angoscia provocata da un noir può essere alleggerita dalle voci dei bambini che giocano per le stradine del villaggio in cui passo un bel pezzo della mia estate, o dalla musica che proviene dalla zona in cui ragazzi e ragazze ballano e intrecciano storie di amori e di amicizie. Nelle ultime estati, da queste letture, ne ho tratto due recensioni per Alganews sui romanzi di Paula Hawkins: “La ragazza del treno” prima e  “Dentro l’acqua” poi. Erano, tali recensioni, soprattutto consigli di lettura, perché in fondo mi limitavo a spiegare i motivi per cui mi sono piaciuti. Quest’anno cambio marcia, non tanto perché non abbia niente di nuovo da mettere sotto i denti scritto da Paula Hawkins (ci sono, dello stesso genere e di qualità, anche altri autori), ma perché il libro di cui voglio parlare più che a una recensione induce a un antico ricordo che ben si coniuga alla fase in cui stiamo vivendo. Il libro è intitolato “Cosa aspettano le scimmie a diventare uomini” (Sellerio Editore Palermo, prima edizione 2015) ed è stato scritto dall’algerino Mohammed Moulessad firmato, però, col nome della moglie Yasmina Khadra perché Moulessad, al tempo, era un ufficiale dell’esercito che suscitava la disapprovazione dei suoi superiori. É un libro da leggere, il suo, di cui non rischio di rivelare troppo perché non accennerò neppure a una traccia della trama che come in ogni noir degno di questo nome si fonda sul compimento di delitti e reati (posso solo aggiungere con l’aggravante della corruzione e della crudeltà), la scoperta dei cui esecutori o del cui esecutore dovrà essere consegnata alla fine del libro solo dall’Autore al lettore. Ne parlerò, più che altro, perché – lo ripeto – c’è qualcosa che viene da lontano e, purtroppo, ben si coniuga alla fase in cui stiamo vivendo. Per meglio capirci rammento due cose. La prima consiste in una frase di Frantz Fanon (cit. da “I dannati della terra”) posta a epigrafe nel frontespizio:ogni generazione deve, in relativa opacità, scoprire la sua missione, adempierla o tradirla. La seconda consiste in una nota con cui il noir in questione è introdotto dall’Autore:ci sono quelli che di un barlume fanno una torcia e di una fiaccola un sole, rendendo grazie per tutta la vita a chi li onora per una sera; e ci sono quelli che gridano al fuoco appena intravedono una parvenza di luce in fondo al tunnel, trascinando in basso ogni mano che si tende verso di loro. Questi ultimi in Algeria vengono chiamati Beni Kelboun. Geneticamente nefasti, i Beni Kelboun hanno una loro trinità personale: mentono per natura, truffano per principio, nuocciono per vocazione. Dunque di questo cercherò, adesso, di dire qualcosa. Frantz Fanon era uno psichiatra, scrittore e filosofo francese, nativo della Martinica, rappresentante del movimento terzomondista per la decolonizzazione. Per quelli della mia generazione, insieme al film di Pontecorvo “La battaglia di Algeri” (1966) di poco successivo alla morte di Fanon (1961), fu uno dei motori della riflessione e dell’agire politico che ci consentì di trasferire nel reale aspirazioni di cambiamento che in seguito passarono un po’ troppo genericamente, e disinvoltamente quasi tutte, sotto il nome di contestazione giovanile. Mi ha colpito rileggerla adesso, questa frase di Fanon, perché non ricordavo che per lui il dovere di ogni generazione di scoprire la sua missione, adempierla o tradirla, si accompagnava al concetto di relativa opacità: come dire che non esiste l’assolutamente oscuro e l’assolutamente trasparente, ma nell’ineludibile relativa opacità della tua capacità di vedere il tutto, devi scegliere cercando di esercitare un responsabile arbitrio. Insieme mi ha colpito l’asserzione con cui l’Autore del noir parla, invece, senza indugi, dell’esistenza di nature geneticamente nefaste: quelle di chi mente, truffa e nuoce. Insomma, quando guardo al perdurare dell’impoverimento dell’Africa e delle guerre in Medioriente in una fase che dovrebbe definirsi post-coloniale, ossia liberatoria, mentre al contrario perdura lo sfruttamento e l’oppressione sebbene in forme diverse, e guardo anche ai modi ostili con cui viene affrontata nel nostro Paese e non solo la questione dell’immigrazione, mi domando se sulla relativa opacità entro la quale dovrebbero essere esercitate scelte più o meno giuste ancorché più o meno sbagliate, non prevalga una natura umana decisamente e geneticamente nefasta. E, se così è, direi che il titolo del libro “Cosa aspettano le scimmie a diventare uomini” va ben al di là della storia che l’Autore del noir ha inteso raccontarci: diventa una storia (e forse nell’intendimento del suo Autore lo è fin dal principio) dalla quale si evince che quantunque il potere lo esercitino i governanti e i loro burattinai del nord o del sud del mondo, dell’est o dell’ovest, ha una sua unica e perversa natura. Non so cosa questo possa significare fino in fondo. Anzi, invidio chi comprende ogni cosa. Avverto, però, che come accaduto in altri momenti della storia, è giunto il momento di un radicale cambio di paradigma: come minimo uscendo da quel pensiero unico colmo di promesse per tutti, nel mondo della globalizzazione, che ormai si è palesato quale espressione di un liberismo ottuso, feroce, sfrenato, sempre e solo e dalla parte dei più cinici e dei più avidi.