AVATI CONFESSA: “GODO DELL’INSUCCESSO DEI MIEI COLLEGHI”

AVATI CONFESSA: “GODO DELL’INSUCCESSO DEI MIEI COLLEGHI”

DI MICHELE ANSELMIA volte non capisco proprio Pupi Avati. D’accordo: l’età e i suoi acciacchi, qualche amarezza professionale, il gusto del paradosso tipico della senilità, il piacere di sbriciolare ogni ipocrisia. Ma perché deve dire in un’intervista a Fulvia Caprara di “La Stampa” quanto segue? Alla domanda della giornalista “A lei è capitato di sentire, ma anche di fare del male?”, risponde infatti: “Tutti noi abbiamo vissuto la massima disperazione. Quanto a praticare il male posso dire che io stesso, per esempio, godo ancora oggi dell’insuccesso dei miei colleghi. Di tutti, anche di quelli di cui non sono nemmeno capace di pronunciare il nome”. Il riferimento ad Alice Rohrwacher, tra i tanti esempi che si potrebbero fare, mi pare evidente. Ma mi chiedo: perché dirlo in un’intervista a un grande giornale? Nelle conferenze che tiene qua e là, tra ricordi, confessioni e libri da presentare, passi pure, fa parte del personaggio scomodo e ormai controcorrente. Ma così no, non lo capisco proprio, pur continuando ad apprezzare parecchi dei suoi film.