CENTO ANNI FA RITA HAYWORTH

CENTO ANNI FA RITA HAYWORTH

DI GIOVANNI BOGANISex symbol. Ma anche sposa infelice, prigioniera della bottiglia, attrice ingabbiata in un solo ruolo, in un’immagine diventata una maledizione. Rita Hayworth è Gilda, lo sarà per sempre. E sempre ha dovuto combattere contro il suo mito. “Tutti gli uomini che ho conosciuto andavano a letto con Gilda. E si svegliavano con me”. È una delle sue frasi più celebri, ma anche la più amara. Chissà se lo immaginava, tutto questo, la bambina che nacque a Brooklyn cento anni fa, il 17 ottobre del 1918, figlia di una showgirl che si esibiva a Broadway, Volga Haywort, e di un ballerino di flamenco andaluso, Eduardo Cansino. Lei, Margarita, aveva grandi occhioni scuri. L’infanzia probabilmente se la godette poco: subito a ballare, subito a cercare di mettere a frutto il talento. A otto anni un talent scout della Warner Bros. la nota, e la fa apparire nel cortometraggio “La Fiesta”. È il 1926, e i genitori colgono al volo il sogno, o quella parvenza di sogno, e si spostano a Hollywood. A dieci anni, Margarita balla col padre,: sono i “Dancing Cansinos”. La sua vita è già fatta di disciplina militare. A sedici, il padre le trova un manager. È Edward Judson, commerciante d’auto: che come ricompensa poco dopo se la sposa. Lui ha quarant’anni, lei diciotto. Poi le ottiene un contratto con la Columbia: ma il padrone della Columbia, il temuto e dispotico Harry Cohn, sarà padrone anche di lei. Ci sono molte ombre dentro la storia di Rita Hayworth. L’immagine di Gilda nasconde molte cose. Come il poster della pellicola, che nel film “Le ali della libertà” sta sul muro della cella di Tim Robbins, e gli serve per nascondere il tunnel che sta scavando. Uno dei mille omaggi del cinema e della letteratura alla donna più amata, desiderata, sognata alla metà del secolo. Il suo sorriso, i suoi occhi scuri, i suoi capelli scintillanti erano entrati di prepotenza nell’immaginario di tutti: anche in quello dei soldati americani della Seconda guerra mondiale. Al punto che misero una sua immagine anche sull’aereo che, a guerra finita, lanciò una bomba atomica sull’atollo di Bikini. Eppure lei è stata molto più che un sex symbol: è stata una ballerina straordinaria, un’attrice intelligente, una donna ironica. E una figura tragica, non c’è dubbio. Rita Hayworth ha interpretato film con Cary Grant, con James Cagney, con Tyrone Power (“Sangue e arena”, nel 1941), e con Fred Astaire, che la riteneva più brava di Ginger Rogers. Ma tutti la ricordiamo nella sua apparizione in “Gilda”. Quando canta “Put the Blame on Mame”, con un vestito senza spalline, soltanto i guanti scuri, ondeggiando, guardando, ammiccando. Ricorda qualcuno? Ma sì: Jessica Rabbit in “Chi ha incastrato Roger Rabbit?”, modellata palesemente su di lei. Chi ha incastrato Rita Hayworth, verrebbe da chiedersi. Harry Cohn, che durante le riprese di quel film mise microfoni nella sua stanza, per controllare se non stesse andando a letto con il protagonista maschile Glenn Gould? Il secondo marito Orson Welles, che la dirige nella “Signora di Shangai” nel 1948, e ne fa una donna bugiarda, odiosa, che merita un destino tragico, e che girava il film mentre il loro matrimonio finiva? Chi ha incastrato Rita Hayworth? Il marito successivo, il playboy Ali Khan, figlio dell’Aga Khan, miliardario che la sposa in Costa Azzurra, con Yves Montand che canta per loro e la piscina riempita di acqua di colonia, ma che provoca l’indignazione di tutta l’opinione pubblica – lui non era ancora divorziato dalla moglie precedente? Lei fugge da Hollywood, si rifugia in India, fa la principessa: felice? No, perché anche quell’amore finisce. Ci sarà un mesto ritorno alla corte di Harry Cohn, ci saranno film che non convincono, che non rilanciano il mito, ci saranno altri due matrimoni infelici. E ci sarà l’Alzheimer, una lunga lotta durata vent’anni, ci sarà la sua dipendenza dall’alcol. Il triste finale, il 14 maggio 1987. E lei rimarrà, per sempre, prigioniera di Gilda.