DAVID FOSTER WALLACE: LA PAURA DEL 12 SETTEMBRE (E QUELLA DELL’11)

DAVID FOSTER WALLACE: LA PAURA DEL 12 SETTEMBRE (E QUELLA DELL’11)

‘Make no mistake about people who leap from burning windows’. Non sbagliarti su chi salta da finestre in fiamme. Scriveva David Foster Wallace che chi si butta nel vuoto da una grande altezza ha lo stesso terrore di cadere che proviamo tutti noi quando ci sporgiamo in condizioni normali da una finestra; cioè, la paura di cadere rimane costante. La variabile è un altro terrore, quello del fuoco. ‘Quando le fiamme arrivano vicine, buttarsi diventa il meno terribile di due terrori. Non è desiderio di cadere; è terrore delle fiamme’. Questa è la didascalia perfetta di DFW alla foto del Falling man, l’uomo sconosciuto che cade a testa in giù dal World Trade Center durante l’attacco terroristico dell’11 settembre e insieme accoglie in un abbraccio gli altri 200 jumpers – vennero chiamati così, i saltatori – che fecero come lui. Ieri era l’11 settembre, data-anniversario; oggi, il 12, porta con sé un altro ricordo triste; dieci anni fa, David Foster Wallace, lo scrittore con la bandana, il super nerd cresciuto a scrittura e Nardil, l’uomo dei romanzi da mille pagine che fotografavano le nostre addictions e spiegavano come funzionava l’artificio chiamato vita, si uccideva a 46 anni. Le fiamme, questa volta, si trovavano dentro di lui. Il titolo del suo impareggiabile reportage Una cosa divertente che non farò mai più, in inglese più propriamente A Supposedly Fun Thing I’ll Never Do Again (parlava di una crociera) si adatta per un attimo al gesto stesso di esistere.