ELEZIONI BRASILIANE: I MERCATI ABBANDONANO BOLSONARO

ELEZIONI BRASILIANE: I MERCATI ABBANDONANO BOLSONARO

Tutti contro Jair Bolsonaro, il candidato dell’estrema destra alle elezioni brasiliane del 7 ottobre prossimo. Conservatore sui diritti civili, ultraliberista in economia: ce n’è abbastanza da scatenare uno scontento ecumenico.Niente di strano finché a protestare sono state le femministe del movimentoEle Não(“Lui no”, che nei giorni scorsi ha organizzato proteste in tutto il Brasile contro il machismo del candidato, le sue dichiarazioni omofobe e il suo appoggio alla dittatura), gli afrobrasiliani, la comunità Glbt, i sindacati e gli oppositori politici. Ma ora ci si è messo pureThe Economist, la voce raffinata dei mercati e della finanza, con un articolo (https://www.economist.com/…/jair-bolsonaro-latin-americas-l…) che va nella direzione di quanto fatto, a suo tempo, contro Silvio Berlusconi. L’apodittico “unfit to rule” (inadatto a governare) risale al 2001. Ormai è storia.Non cambia il teorema dell’Economist, la cui critica a Bolsonaro (come a suo tempo quella a Berlusconi) non arriva certo da sinistra. Dopo avere messo in un unico calderone Donald Trump, Matteo Salvini e il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador (dimostrando di non avere chiara la differenza tra “popolare” e “populista”,https://www.alganews.it/…/miracolo-messicano-obrador-presi…/), allude al rischio di una deriva autoritaria per il Brasile (come se quella attuale…). Osa un parallelismo con Augusto Pinochet in Cile (e fin qui tutto bene), salvo poi ricordare – con un doppio carpiato – che il benessere economico del Cile attuale si deve proprio alle riforme ultraliberiste avvenute durante la dittatura. Peccato che ometta di menzionare che a Pinochet non venne mai in mente di riprivatizzare le miniere di rame, dopo la nazionalizzazione voluta da Salvador Allende, la cui esportazione contribuì per il 40 per cento al Pil durante la dittatura. Il problema, semmai, è l’eccesso di ottimismo estrattivista di tutti i governi sudamericani, di qualsiasi colore e orientamento.Tant’è.The Economistparla alla nuora perché intenda la suocera. Quando afferma che “i brasiliani dovrebbero rendersi conto che il compito di sanare la loro democrazia e riformare la loro economia non sarà né facile né veloce”, indirettamente boccia anche il candidato di sinistra Fernando Haddad (https://www.alganews.it/…/brasile-la-corsa-di-haddad-succe…/), scelto dal Pt (Partito dei lavoratori) come successore (o alter ego) di Lula, attualmente in carcere.The Economistplaude infatti al congelamento della spesa pubblica di questi anni. “Ma sono necessarie molte più riforme”, conclude. “Mr. Bolsonaro non è l’uomo in grado di fornirle”.Il problema perThe Economist, insomma, non è la carneficina sociale implicita nel neoliberismo, ma il populismo di Bolsonaro. La forma, insomma, prima della sostanza. E, probabilmente, la sua incapacità a garantire la pace sociale necessaria a trasformare il Brasile in terra di conquista per gli investimenti stranieri, quelli che portano i cosiddetticapitales golondrinas. Capitali “rondine”, che restano per una stagione e poi ripartono.Intanto, a una settimana dal voto, Bolsonaro è stabile (28 per cento secondo un’indagine della società Ibope), mentre Haddad continua a crescere ininterrottamente dal 20 agosto e guadagna altri 3 punti percentuali (22 per cento). Arriverebbe secondo al primo turno, ma straccerebbe l’avversario di destra per 43 a 37 al ballottaggio (dando per scontato un 10 per cento di astensionismo). Una sfida che la dice lunga sulla capacità di Lula di far crescere possibili successori, capacità che non hanno avuto, per esempio, Hugo Chavez e Cristina Kirchner.