I CATTIVI (POCHI) E GLI IGNAVI (TANTI)
“Che ti sei fatto?”.“So’ caduto dalle scale”.“Ma quando la finirete con ‘sta cazzata delle scale?”.“Quando le scale finiranno de menacce”. È uno dei dialoghi di “Sulla mia pelle”, il film su Stefano Cucchi più o meno in circolazione, quello che secondo il Foglio rappresenta “la complicità tra i centri sociali e Netflix” (e questo è il quotidiano della destra intelligente eh, chissà gli altri). “Sulla mia pelle” non è, come qualcuno può pensare, un atto di accusa ideologico contro i carabinieri. Nemmeno contro i tre carabinieri che cercarono l’anima di Cucchi a forza di botte, in uno stanzino, poco dopo l’arresto. Certo, le colpe dei tre emergono, così come del resto emergono dagli atti giudiziari su cui il film è basato.Ma si capisce presto che le responsabilità di quell’omicidio non finiscono lì, anzi. Che sono molto diffuse anche altrove. Anche se non si tratta di responsabilità penali. Ma eticamente e civilmente altrettanto paurose e ributtanti, sì. Ad esempio, le si vede nel primo (e ultimo) magistrato davanti a cui viene condotto Cucchi, che nemmeno si accorge di come è conciato il ragazzo davanti a lei, dopo aver già subito il pestaggio. La signora in toga ripete formule di rito, stanca e annoiata, poi lo consegna rapidamente alla morte senza farsi né fare alcuna domanda su quell’imputato che non sta in piedi ed è pieno di lividi sul volto e altrove. Uguale indifferenza – e ritualità – c’è nell’agire dell’avvocato d’ufficio, o meglio nel suo non agire, chissà se per superficialità o insipienza. E chissà se per superficialità o insipienza anche i medici del Servizio sanitario nazionale adibiti alle carceri lasciano correre, passano ad altro, non vedono, hanno fretta, non vogliono passare guai nel denunciare l’evidenza e gli effetti di un pestaggio violento su un ragazzo già fisicamente fragile. Gli altri carabinieri, che scuotono la testa quando capiscono come Cucchi è stato massacrato dai colleghi ma si guardano bene dal fare o dal dire qualcosa. E le guardie carcerarie uguale, tutto un “non vorrei andarci di mezzo io”. Avete notato? Carabinieri, giudici, avvocati d’ufficio, medici del Ssn, guardie carcerarie. Tutti dipendenti dello Stato. Tutti cioé a rappresentare (malissimamente) lo Stato, vale a dire tutti noi, la società. Di cui lo Stato è espressione. “Sulla mia pelle” non è un atto d’accusa contro tre picchiatori in divisa. È soprattutto un atto di accusa contro tutti gli altri: gli indifferenti, i superficiali, i codardi, gli indolenti, i “non vorrei andarci di mezzo io”. È un atto d’accusa contro quell’Italia che non è cattiva, certo, né violenta né picchiatrice. Ma per viltà e ignavia lascia che i cattivi, i violenti, i picchiatori producano i loro effetti. Non so se è chiaro quanto politico e attuale sia “Sulla mia pelle” nell’Italia salviniana di fine 2018.
