IL MOSTRO DI FOLIGNO CHIEDE SCUSA. I FAMILIARI DELLE VITTIME: “NON TORNI LIBERO”
Torna alla ribalta Luigi Chiatti, noto come il ‘mostro di Foligno’, come si autodefinì lui stesso durante il processo per l’omicidio di Lorenzo Paolucci e Simone Allegretti, da lui seviziati e uccisi, il primo nel ’92 ed il secondo, un bambino di appena quattro anni, nel ’93. “Chiedo scusaper il dolore causato, ma adesso sono cambiato. Se potessi tornare indietro non rifarei mai quello che ho fatto perché ciò che ho fatto è distruzione della vita e disprezzo del creato”,scrive in una lettera inviata ad un noto quotidiano sardo, dal Rems (Residenza per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza) di Capoterra (CA) nel quale sta scontando gli ultimi tre anni di detenzione, sotto stretta sorveglianza.Una mossa che ha spiazzato tutti, compreso il suo legaleche sostiene di non saperne niente ma che ha suscitato la rabbia dei familiari delle vittime che non hanno alcuna intenzione di perdonare l’autore di quei delitti efferati per i quali non ha mai mostrato, in tutti questi anni, alcun pentimento. “Non lo odio, ma non torni libero’, commenta la mamma del piccolo Lorenzo. “Non si può dare credito alle parole e alle promesse palesemente interessate, di uno squilibrato dichiarato parzialmente incapace di intendere e di volere”, ha ribadito, a supporto della signora, il legale di famiglia. A mettere fine ad ogni ipotetico ritorno di uomo libero ci pensail tribunale di sorveglianza di Cagliari che nell’ultima relazione lo ha definito “socialmente pericolo”, prolungando di fatto di altri due anni la sua permanenza presso il Rems sardo. Il geometra folignate, oggi cinquantenne, chiede dunque scusa in risposta, precisa “a quanto è stato detto e scritto dai mass-media non molti giorni fa”, quando appunto balenava l’ipotesi di un eventuale ritorno alla vita normale, visto che la detenzione nella struttura sanitaria cagliaritana sarebbe terminata nel 2020. Una lettera troppo perfetta,ineccepibile dal vista linguistico, che cerca di andare dritto nel cuore dei familiari delle vittime. Troppo perfettaper essere stata scritta da un semi-infermo di mente com’è appunto Luigi Chiatti.E soprattutto‘palesemente interessata’ poiché concomitante alla valutazione dei medici del tribunale di sorveglianza. In carcere dall’agosto ’93 dopo la condanna a 30 anni per i due omicidi che confessò, Chiatti è giunto al Rems di Capoterra nel settembre 2015 per scontare nella struttura psichiatrica gli ultimi tre anni di detenzione.Una decisione che fece infuriare la popolazioneche mal digeriva l’arrivo di quell’ospite indesiderato e tanto pericoloso. Dovette faticare non poco il sindaco di Capoterra per tranquillizzare i cittadini assicurando loro che il detenuto-paziente sarebbe stato sotto massima sorveglianza 24 ore su ore.Una decisione che colse di sorpresa anche la famiglia Paolucci che, a caldo, commentò quanto ribadisce oggi, con le scuse tardive e di certo strumentali: “L’ho perdonato perché subì delle violenze dopo essere stato abbandonato in orfanotrofio dalla madre. Ricordo però che nel processo chiese di non essere lasciato libero o avrebbe ucciso ancora. Per questonon perdonerei chi lo dovesse liberare e non perdonerei più Chiatti se accettasse di tornare libero”. (Nella foto il REMS di Capoterra) Questo il testo della lettera inviata e pubblicata da L’Unione Sarda Gentile direttore, le chiedo cortesemente di voler pubblicare questo mio scritto in risposta a quanto è stato detto e scritto dai mass-media nei miei confronti non molti giorni fa. Innanzitutto, però, ritengo doveroso rivolgermi ai familiari delle povere giovani vittime: Simone Allegretti e Lorenzo Paolucci, prematuramente private a causa mia della loro vita.Ciò che vorrei trasmettere è che, ancor oggi, nel loro ricordo, provo una forte sensazione di immenso dolore personale che mi strugge grandemente nel ricordo dal profondo del mio cuore, tanto da aver suscitato in questi lunghi anni tanti e tanti interrogativi, tra i quali il principale è se fosse giusto o no concedermi la possibilità di rinascere a vita nuova e, quindi, rientrare tra la gente in società, considerato il dolore presente, senza fine, che a causa mia si è determinato ed è presente nelle famiglie e in tante altre persone legate alle vittime. Mi dispiace, vi chiedo umilmente scusa con il cuore in mano.Non vi chiedo di perdonarmi, so che è difficilissimo, ma per lo meno di concedermi di dare “un senso” al sacrificio delle due vittime. Io credo, anzi, sono oggi convinto, che anche da un evento così tragico si possa trarre qualcosa di positivo, dal male più profondo può emergere la luce, attraverso un processo di trasformazione e rinascita interiore della persona, ed è quello che è accaduto in questi anni.Oggi, sono una persona molto diversa, che non si riconosce in quella descritta dai mass-media, che bisogna riconoscere svolgono il loro preziosissimo lavoro ma che, non avendo avuto contatti diretti con me, anche per una mia scelta che fino ad oggi ho voluto fare per rispetto di tutti, hanno proiettato sempre la stessa immagine cristallizzata di me, senza evidenziare gli importanti progressi ottenuti, grazie all’opera di tutti gli operatori che hanno avuto modo di lavorare su di me, sull’elaborazione dei fatti e sulla strutturazione della mia persona.In questi anni di restrizione ho cercato di trasformare tutto il male fatto in gesti di aiuto nei confronti di chi, come me ristretto, si trovava in difficoltà nello svolgere al meglio tutte le mansioni di responsabilità che mi venivano assegnate, comportandomi bene con tutti, tanto da essere ben voluto da tutti quelli che mi hanno conosciuto personalmente e, ogni volta che lo facevo per me, era un dono fatto a Simone e Lorenzo, e ciò mi rendeva immensamente felice, perché era un modo per dare, come ho già detto in precedenza, un senso alla loro prematura morte. Ho cominciato ad apprezzare le gratifiche delle persone da me aiutate. Nella vita non c’è miglior cosa che agire per il bene, i ricordi delle persone aiutate rimangono per sempre ed illuminano la vita.Adesso mi trovo presso la R.E.M.S. di Capoterra dal 2015, dove ho trovato degli operatori molto scrupolosi ma al contempo capaci di dare avvio, dopo più di un anno di osservazione, a un percorso esterno. Dal dicembre 2016 sto usufruendo con esito positivo di licenze accompagnate dagli operatori. Devo osservare che se nel corso della detenzione in carcere non ho mai usufruito di benefici, non è dovuto alla mancanza di requisiti comportamentali o di preparazione interiore o di mancata rielaborazione dei fatti, ma dal semplice fatto che la Legge prevede che prima si dovesse procedere alla verifica della pericolosità sociale e che questa può essere svolta solo in prossimità del termine della pena detentiva, quando vi è prossima la possibilità dell’applicazione della misura di sicurezza ordinata in sentenza. Ora, non avendo potuto usufruire del benefici a causa dell’attesa della riesamina della pericolosità sociale, era difficile pensare a un’uscita immediata dopo la detenzione ma, più sensata la decisione di applicare la misura di sicurezza per dare poi avvio, come è successo, a quella fase di reinserimento esterno. Prima di porre termine a questo mio scritto vorrei rassicurare, per quanto mi è possibile, le famiglie delle povere vittime. Oggi c’è una persona diversa ristretta, una luce non riconosciuta che vuole essere accolta semplicemente perché è luce, non è più negativa ma positiva, e che vuole tanto dare agli altri, trasmettere se stessa e dare un senso a tutto ciò che è avvenuto e che non doveva avvenire. Se potessi tornare indietro non rifarei mai quello che ho fatto perché ciò che ho fatto è distruzione della vita e disprezzo del creato. Scusatemi.Luigi ChiattiCapoterra, 25/10/2018
