LA FATICOSA INTERVISTA CON MORETTI SULLA VITTORIA DI PRODI
Michele Anselmi per “l’Unità” del 23 aprile 1996Per tre-quattro volte ha fatto la spola tra piazza Santi Apostoli e le Botteghe Oscure, confondendosi nella folla insieme a un gruppo di amici. Giacca di velluto a coste, camicia a quadrettini, la famosa Vespa parcheggiata nei dintorni, il sorriso di chi – come tanti romani riversatisi nel centro storico dopo mezzanotte – voleva partecipare a una sorta di festa liberatoria. Si capisce che la presenza di Nanni Moretti non è passata inosservata. A decine, esibendo le prime copie dell’edizione straordinaria de “l’Unità”, si sono timidamente avvicinati al regista di “Caro diario”: chi chiedendo un autografo sulla prima pagina del giornale, chi stringendogli semplicemente la mano, chi rallegrandosi per la recentissima paternità. Senza farsi pregare, Moretti ha avuto un gesto gentile per tutti. Per la giovanissima fan che ha tirato fuori dalla sua agendina l’ultima pagina bianca; per il giovanotto del Prenestino che gli ha ricordato l’incontro sul set di “La messa è finita” nella chiesa di Santa Maria Mediatrice; per il professore universitario che gli parlava di una tesi di laurea sul suo cinema e la psicoanalisi.Alle tre di notte i dati sono ancora frammentari e parziali, ma la vittoria sembra profilarsi. Un ragazzo urla “Fini sta sotto!”, riferendosi alla sfida con Bachelet (le cose poi andranno diversamente), mentre per la terza volta D’Alema s’affaccia al balconcino delle Botteghe Oscure, acclamato come una star: e quando la gente comincia a gridare “Enrico Enrico”, ricordando Berlinguer, il segretario del Pds dedica la vittoria a chi “non è più tra noi”. Il regista apprezza. – Moretti ti aspettavi questa affermazione? In questi giorni avevo scommesso con un paio d’amici che alla Camera I’Ulivo avrebbe preso 307 seggi, il Polo 293 e la Lega 30. Mi auguro di essere stato pessimista. A sentire il primo discorso di D’Alema in tv andremo oltre la maggioranza relativa. Deve avere avuto qualche buona notizia dalle sezioni, altrimenti non si sarebbe esposto così. – Il più amato dalla sinistra. Che impressione ti fa ricevere tutto questo affetto? Abbracci, sorrisi, richieste di autografi… Fa piacere, solamente piacere. Stasera mi sono sottoposto volentieri alle attenzioni delle persone. Ci sono abituato, ma stavolta c’era qualcosa di diverso nell’aria. – Raro vederti a una manifestazione politica. C’è chi dice che è una fatica strapparti al tuo splendido isolamento… Bah. Non esiste una regola. In genere preferisco testimoniare con il mio lavoro, che cerco di svolgere bene: invece di attaccare schematicamente i miei nemici, preferisco criticare e prendere in giro affettuosamente i miei amici. Non mi interessa essere sempre presente comunque e dovunque. Ma ognuno, ovviamente, si comporta come vuole. Penso, ad esempio, che la sortita di Benigni all’Eliseo sia stata bella e divertente. Ma solo lui poteva fare una cosa del genere. Ripeto: credo che un regista debba impegnarsi nel proprio lavoro, esercitando sempre uno sguardo critico nei confronti di se stesso. Solo dopo si ha il diritto di criticare anche gli altri. – Dentro la sinistra ma in modo critico. Questo sembra essere la tua posizione. La vittoria di stasera stempera il tuo noto pessimismo? Spero che questa affermazione, sempre che sia piena come sembra, faccia ritrovare alla sinistra un po’ di fiducia in se stessa. Magari troverà la forza di abbandonare la simpatia e la soggezione che continua ad avere nei confronti di certi personaggi televisivi: volgarissimi e osceni. – Come trovi questa folla che si riunisce spontaneamente e festeggia Prodi? Sorridente e tranquilla. Mi piace l’atmosfera, senza slogan macabri e sanguinari (come a volte purtroppo me capitato di ascoltare in certi cortei), con un pizzico di autoironia. Prima ho sentito un gruppo di ventenni che sospiravano “Sono quarant’anni che aspettiamo questo momento”. Ho la sensazione che si prendessero allegramente in giro. E poi trovo bello questo andare e venire tra Piazza Santi Apostoli e le Botteghe Oscure: sembra che tutti vogliano restare insieme, senza andarsene più via. – Non è la prima volta che ti ritrovi sotto il Bottegone… No. Ci sono venuto nel 1972. Avevo 19 anni, se avessi potuto avrei votato la lista del Manifesto. Purtroppo ci fu la dispersione dei voti e così non raggiunsero il quorum Psiup, Manifesto e Mpl. Poi ci sono tornato nel 1975 e nel 1976, il clima era decisamente migliore. E nell’84, durante l’agonia di Berlinguer: ricordo quei dirigenti del Pci che uscirono in silenzio sul balcone, e noi che eravamo li sotto capimmo subito che era morto. Sono venuto anche nell’87, l’anno della batosta: pensavo che ugualmente ci sarebbero state molte persone, invece non c’era quasi nessuno. – Insomma, pur non essendo stato mai iscritto al Pci prima e al Pds dopo, questo posto te lo senti familiare. Da giovane ho militate in un gruppo extraparlamentare “moderato”, di ispirazione troskista-libertaria, che si chiamava Soviet. Mai stato stalinista. È una cosa che mi fa molto piacere, eravamo in pochi avevamo una bellissima rivista diretta da Paolo Flores D’Arcais. Più tardi ho dedicato due film al Pci: “Palombella rossa” e “La Cosa” Non ho mai avuto il mito della base comunista contrapposta ai “vertici revisionisti” coltivato dai gruppi extraparlamentari, ma devo riconoscere che girando per le sezioni comuniste, sul finire del 1989, incontrai persone belle e interessanti. In quelle settimane la base diede un bello spettacolo di sé, forse perche non c’era in gioco il potere. Erano discussioni forti, un misto di speranza e di panico, ma senza violenza né astio. Semmai fu il vertice del Pci a non offrire un bello spettacolo di sé. – Stavolta Berlusconi è stato sconfitto. C’è chi sostiene, come Tornatore, che fu un errore nel 1994 demonizzare l’avversario, anche attraverso quel famosi filmini raccolti con il titolo “L’unico Paese al mondo”. Accetti la critica? Francamente mi sembra assurdo mettere sullo stesso piano un filmino di 18 minuti visto una volta da poche migliaia di persone e migliaia di ore di programmi Fininvest viste da decine di milioni di persone. Accadde semplicemente che alcuni cineasti decisero di testimoniare con il proprio lavoro, invece che con un appello, il disagio di fronte all’eventualità che il proprietario di tre televisioni (anzi forse sei con le tre di Telepiù) diventasse presidente del Consiglio. E anche se oggi Berlusconi e stato sconfitto, il problema esiste ancora. Bastava vedere i tg di Rete 4 e Italia 1 di questi ultimi giorni. Dire che la situazione e anomala significa usare un eufemismo. – Dunque secondo te due anni fa non si perse perché la sinistra demonizzò l’avversario… No, si perse per quattro ragioni. Perché bisognava imparare a giocare all’uninominale; perché Berlusconi era un uomo di successo nelle due cose che più contano in Italia, la tv e il calcio, e fu considerata la novità di quelle elezioni; perché c’erano tre reti televisive nazionali al servizio del leader di Forza Italia; perché la sinistra non seppe allearsi col centro. – La sinistra ha imparato la lezione. E Berlusconi? Non so. A volte ho I’impressione che Berlusconi non sia tanto contro la democrazia, ma piuttosto estraneo ad essa. Fin dall’inizio tutti hanno notato che lui era entrato in politica per difendere i suoi interessi personali. Forza Italia è sempre stato il partito-azienda di un solo uomo.
