LA LIBERTA’ DI STAMPA NON SI DIFENDE COSI’
Viviamo ormai quotidianamente sugli spalti di uno stadio o nel Nerone di Petrolini.Ad ogni parola corrisponde un’inaudita violenza verbale, con le accuse più strambe e fantasiose. Ad ogni sillaba si sviluppa un rigurgito di sputi neppure troppo virtuali.Ieri ho detto la mia sull’ aspro attacco di Tiziana Ferrario ai reportages di Alessandro Di Battista, spiegando semplicemente che un giornalista televisivo, proprio perché abituato ad un altro metodo di comunicazione, può non essere in grado di valutare adeguatamente il reportage di un quotidiano. E chiedevo anche perché l’avesse fatto, visto che lei non aveva mai attaccato la Raggi e quindi non era chiamata in causa.Apriti cielo. In molti hanno replicato che era in risposta agli insulti rivolti da Di Battista alla categoria giornalistica e quindi anche a lei. Come se a chi se la prende con i tranvieri di Milano, rispondesse un dipendente dell’Atac romana. E come se un artigiano andasse giudicato per il suo comportamento poco civile, invece che per la capacità professionale. E io che non condividevo tutto ciò sono stato addirittura accusato di scarsa sensibilità. Per l’intera giornata mi sono affannato a rispondere a vari contestatori. Una decina, i più saggi, si sono cancellati dalla cosiddetta “amicizia” di Facebook. Sì, quando diviene inutile colloquiare, o anche discutere, senza vedere persone che precipitano nello stesso gorgo per il quale stigmatizzano gli avversari politici, è proprio meglio, anzi più salutare, interrompere i collegamenti.p.s. Nei prossimi giorni racconterò vari episodi vissuti nella mia lunga carriera, durante la quale ho conosciuto colleghi eccezionali: bravissimi e coraggiosi, tenaci eintelligenti ed altri che avrebbero meritato epiteti persino più pesanti di quelli gridati da Di Maio e Di Battista. Come succede in ogni categoria. Di qui a citare la costituzione o a invocare la libertà di stampa, ce ne corre. La libertà di stampa va tutelata in altro modo: scrivendo la verità, pagando il giusto ai collaboratori, ormai sfruttati dalle case editrici; facendo sì che i potenti paghino il fio quando sporgono una querela infondata e intimidatoria. Per il resto il giudizio spetta ai lettori, i quali rivolgono una critica molto sonora quando non comprano più i giornali, come purtroppo sta accadendo in Italia.
