LITE ITALIA UE, MENTRE LO SPREAD PRENDE IL VOLO

LITE ITALIA UE, MENTRE LO SPREAD PRENDE IL VOLO

Alti e bassi dello spread oggi. Ma anche i “bassi” non sono un buon segnale. Con buona pace di chi dei numeri e numerini ha già ampiamente dimostrato di non capirci un piffero e quindi parla d’altro, questo significa che il nostro debito pubblico è sotto il tiro della speculazione. Per la precisione. è tipico della speculazione innescare degli alti e bassi a singhiozzo dello spread. Lo speculatore vende titoli in massa, ne fa abbassare il prezzo, li ricompra a prezzo di inflazione e li rivende quando si sono rialzati di qualche cosa. Morale della favola: lui fa guadagni significativi in poche ore, nel complesso lo spread va sempre più su e il paese che ha emesso quelle obbligazioni si trova sempre più con l’acqua alla gola Cosa è successo questa volta? Per  un centinaio di ore di tregua (dal pomeriggio del giovedì a quello del lunedì), molto lasciava pensare che la Ue, tutto sommato, fosse in altre faccende affacendata tranne che occuparsi del nostro deficit. E’ però bastato che dall’incontro di presunta mediazione tra Tria, Moscovici e Dombrovskis uscisse una fumata nera come la faccia di Juncker, convertitosi per l’occasione nel ruolo del falco, e la situazione è precipitata. Ma quale sarebbe la vera discriminante tra una possibile mediazione o quanto meno una “non rottura” e una rottura vera e propria? Cosa determinerebbe la differenza tra un galleggiare tra quota 250 e quota 300 del nostro spread o invece una spirale inarrestabile dei tassi di interesse dei nostri bot? Ce lo spiegava qualche giorno fa il Wall street journal, con un articolo che lasciava per la verità trapelare un certo ottimismo. Si diceva infatti che, nella misura in cui l’Italia non uscisse dall’euro, i nostri bot potevano rappresentare un buon investimento. Un alto tasso di interesse per un rischio tutto sommato moderato. Il relativo ottimismo del WSJ era fondato su sondaggi che vedevano il 59% degli italiani contrari all’uscita dall’euro, dal che si desumeva che i nostri governanti si sarebbero comportati di conseguenza. Dunque, possibile una mediazione con Bruxelles, manovrina con qualche spesa in più di quanto ci veniva richiesto, ma con moderazione. Diversi tagli non dichiaratamente tali, come poteva essere un ricalcolo in sede pensionistica o una revisione dei criteri sulle detrazioni e il tutto sarebbe finito senza drammi eccessivi. A quel punto, quando si cominciava a sentire uno svolazzare di colombe, i falchi si sono alzati in volo. Da entrambe le parti? Tutto sommato sì, anche se con differenti sfumature. Da Juncker che strilla che l’Italia di flessibilità ne ha già goduta abbastanza, alle sottolineature dei nostri viceministri, veri gemelli dell’autogol, che al momento giusto lasciano intendere che delle possibili mediazioni di Tria e di Conte non gliene può fregare mezza e che tireranno dritti fino oltre l’orizzonte. A quel punto dalla Ue arrivano messaggi che definirli sibillini significa credere alla befana. Tutt’al più Moscovici si dimostra speranzoso che noi si faccia marcia indietro. Insomma, per le “colombe” o quasi tali, la palla è rinviata a quando della manovra se ne saprà qualcosa di più e il buon Tria si affanna a dire che solo allora sarà chiaro a tutti che noi il deficit in fondo lo progettiamo solo per quest’anno e che in futuro avremo realizzato progressi tali, grazie ad investimenti record, che non ci sarà bisogno di repliche. Ormai, peraltro, la tela si è rotta e rappezzarla è difficile. A ridurre ulteriormente le possibilità di una ricucitura, prospettatata blandamente da Hartwig Loger, presidente di turno dell’Ecofin, fiducioso in Tria che viene fiancheggiato in questo frangente dal premier Conte, ci pensa Claudio Borghi, responsabile della Lega per l’economia. Intendiamoci Borghi ha detto che la sovranità monetaria sarebbe una condizione necessaria ma non sufficiente a risolvere i nostri problemi e ha pure aggiunto che non è nel programma di governo, ma il punto è un altro. Siamo cioè in una situazione di tale delicatezza che solo uno stormire di fronde influisce sui mercati e quando si accenna, sia pure lontanamente (e mica tanto, nel caso di Borghi), a una nostra uscita dall’euro, i mercati si incendiano e la Ue ne prende atto, e per alcuni la soddisfazione di solleticare ulteriormente una situazione già di per sé drammatica è un invito a nozze. Dalle parti della Ue, ma non solo. Ma nessun problema “chissenefregadellospread” pare sia diventata la parola d’ordine per il club dei reduci dal liceo classico. Quelli che “a noi i numerini non interessano” e che quando i nostri bot saranno diventati carta straccia, si troverebbero a pagare sanità e istruzione con una moneta sovrana valida per giocare a monopoli. Dimenticavo, mentre scrivevo lo spread è tornato di nuovo sopra quota 300 e anche a chi, come al sottoscritto, l’euro pare da tempo una fregatura, viene da pensare che non si sia ancora trovata una modalità interessante per uscirne senza subire una fregatura ancora più grossa. Allacciate le cinture, domani si vola.