LODI: BASTAVA L’AUTOCERTIFICAZIONE

LODI: BASTAVA L’AUTOCERTIFICAZIONE

L’altra sera ero ospite in un talk show, e tra Crepet e una politica leghista si è accesoil dibattito sulla questione dei bimbi di Lodi e della mensa. La leghista ha definito Crepet comunista, e lui se l’è presa molto. Ho cercato di sdrammatizzare dicendo che in fondo “comunista” non mi pare un’offesa fatale, e avrei voluto aggiungere che era persino divertente il passaggio epocale dai comunisti che mangiavano i bambini ai leghisti che li sarebbero subentrati. L’altra cosa che avrei voluto dire meglio – ma si sa come sono i talk show – è che i simboli banalizzano, mangiano la realtà, se non i bambini.Cosa è successo a Lodi ? Che un’amministrazione leghista ha imposto alle famiglie extracomunitarie, pena il pagamento pieno della retta di refezione, la presentazione di un documento dal paese di origine che testimoniasse la loro indigenza. Posto che sono esattamente i documenti che le famiglie italiane debbono presentare, se vogliono lo sconto sulla mensa, è ovvio che non è semplice ottenere un documento del genere. Io mi sarei accontentato di un’autocertificazione, supponendo che chi viene in Italia non sono i più disperati – quelli non possono neppure pagarsi il viaggio – ma comunque non sono ricchi. Ci sarebbe stato qualche furbetto ? Fosse pure, non stiamo parlando di cifre pazzesche. E l’autocertificazione – formidabile snellimento burocratico in società leali, si presta a dichiarazioni surreali: ci sono comuni che pretendono, per la concessione di spazi pubblici la dichiarazione di antifascismo, negli appalti servono certificazioni antimafia, che immagino i mafiosi siano i più esperti a compilare. Piuttosto la cosa si presta ad altre considerazioni: il carico di spesa per le famiglie extracomunitarie in molti casi è alto perché hanno due, tre, quattro figli in età scolare, diversamente dalle famiglie italiane (ciò che naturalmente spiega anche vantaggi nella graduatorie di concessione di edilizie popolari) e questo è un dato che nessun provvedimento amministrativo, giusto o maldestro come in questo caso, può modificare. Ma da qui a parlare di razzismo o di discriminazioni – che sono cose serie – il passo è molto lungo.Il passo è lungo anche nel caso delle scuole di Monfalcone, dove un sindaco leghista cerca di porre un tetto al sovrannumero di alunni di lingua straniera nelle classi. Come ? Distribuendoli in altre scuole del circondario, servite da scuolabus. Mi sembra un’iniziativa che favorisce l’integrazione, a patto che non sia messa in opera a metà anno scolastico. Ve la immaginate una classe con venti bambini bengalesi e tre italiani ? Che integrazione è possibile ? Anche qui c’è qualcuno che evoca persino le leggi razziali fasciste.Terzo simbolo: Riace e il suo sindaco. Conoscevo quell’esperienza e l’ho sempre considerata qualcosa di esotico e singolare, improponibile come modello. Se dovessimo prenderne ispirazione per tutti gli altri borghi appenninici o alpini svuotati dovremmo ricordare che Riace è costata finora 10 milioni di euro, usando i fondi Sprar, fondi europei e quant’altro, usando quello che in politica si chiama “capacità di spesa”. Dunque non ho nessun motivo di dubitare del fatto che Lucano non si è messo in tasca neppure un euro, e devo attendere l’inchiesta della magistratura per capire se e quali leggi abbia violato. Per il resto lo guardo come un capopopolo ingegnoso che ha messo in piedi qualcosa che assomiglia a una comune hippie o no global, innocua e colorata, ma con i soldi dello Stato, con un’idea geniale: non battersi per limitare i migranti da accogliere, ma moltiplicandoli come pani e pesci. E, a inchiesta avviata, vestendo i panni della vittima esemplare. Tanto che l’Associazione Nazionale Partigiani lo ha insignito di tesserino ad honorem: “partigiano Mimmo Lucano”. So bene che una parte non insignificante del Paese ha sui partigiani un’opinione che contrasta con la retorica ufficiale. So anche bene che il presidente della Repubblica più amato dagli italiani era un partigiano e anche chi non lo sapeva l’ha imparato grazie a Toto Cutugno. Ma i simboli sono prepotenti, e sopravvivono alla realtà (come sa l’onorevole Mussolini che in un sussulto di confusione tra reale e virtuale, tra verità storiche e numero di follower, vuole denunciare gli stalker di suo nonno) E così penso di poter dire che chi ha a cuore una memoria non marmorea della Resistenza, con le sue luci e le sue ombre, chi avrebbe a cuore una memoria condivisa ha dovuto inghiottire un altro Amaro Lucano. A scanso di equivoci, visto che ora si fanno polemiche anche sul razzismo della pubblicità, ci tengo a chiarire che mia nonna Maria Pace era lucana.