NOVECENTO, IL CATALOGO E’ QUESTO: MOSTRA SU MARIO CAROTENUTO

NOVECENTO, IL CATALOGO E’ QUESTO: MOSTRA SU MARIO CAROTENUTO

«Ho pensato di chiudere, molto molto spesso, e questo traguardo dei 50 anni mi induce a riflettere, non si può continuare a tenere aperto di fronte alla sordità del mercato». E quindi chiuderà? «No, vedremo come andrà a finire, ho un socio giovane (Antonio Adiletta,ndr) toccherà a lui decidere, per quel che mi riguarda il mio tratto di strada l’ho fatto». Lelio Schiavone porta i suoi 86 anni con la civettuola consapevolezza di aver lasciato un segno nella storia “umana e culturale” di Salerno, proprio quella che secondo lui negli ultimi tempi, a fronte dello sviluppo urbanistico e architettonico, è purtroppo fortemente regredita. Carattere schivo e riservato, fiero di essere ancora oggi comunistaamendoliano, è riuscito a non farsi mai imbrigliare dalle tendenze del momento e a rifuggire dal rischio dell’omologazione da cui lo mise in guardia mezzo secolo fa l’amico di sempre, Alfonso Gatto. Fu proprio il poeta e giornalista salernitano ad invogliarlo ad aprire lo spazio espositivo consacrato al Novecento nel cuore della city per il quale scelse il nomeIl Catalogoaccreditandolo presso artisti e galleristi. Era l’ottobre del 1968 e ben prestola piccola galleria bianca e pulita, come la definì Gatto, divenne il più accreditato covo di intellettuali della città. Dove era possibile incontrare Renato Guttuso, Vasco Pratolini, Giuseppe Prezzolini, Michele Prisco, Giorgio Amendola e tanti altri. Stasera alle 19 Schiavone festeggia i 50 anni del Catalogo con una mostra dedicata a Mario Carotenuto, l’altro amico di sempre scomparso un anno fa, e che, appena sedicenne, gli insegnò il gusto per l’arte. Presenti il governatore Vincenzo De Luca, il sindaco Vincenzo Napoli e lo scrittore Diego De Silva che ha firmato per l’occasione un testo celebrativo. Schiavone, 50 anni di Catalogo rappresentano una mole incredibile di ricordi. Qual è stato quello più bello? «Dal punto di vista professionale la mostra di Morandi all’inizio degli anni ’70 perché era un pittore che fin da ragazzo avevo sempre ammirato e amato. Dal punto di vista emotivo e affettivo la visita nel 2010 dell’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Fu lui a chiedere di visitare i luoghi in cui Gatto aveva trascorso gli ultimi anni di vita, un motivo per me di grande orgoglio. Proprio Napolitano ci ha fatto pervenire un messaggio per i 50 anni esprimendo il suo “vivo apprezzamento per il continuo impegno a favore dell’arte e della cultura”». «Non uno in particolare, direi gli ultimi dieci anni. Sono stati caratterizzati, come dice De Silva, da una battaglia di resistenza nei confronti di un mondo che è completamente cambiato». «C’era più attenzione verso gli eventi culturali, più partecipazione, la galleria era intesa come luogo di aggregazione della società civile. Quando si presentava un libro era davvero un avvenimento, mica come oggi che in una sola giornata si svolgono sei o sette incontri con scrittori o pseudoscrittori che si autoproducono. Davanti alla porta del Catalogo c’era sempre la fila, oggi per mettere insieme un po’ di persone ci vuole la mano del Signore! Basta vedere la fine che hanno fatto i circoli cittadini». Perché dice che Salerno dal punto di vista umano e culturale ha subìto una regressione? «Non c’è più voglia di parlare, di confrontarsi, la gente si incontra solo per andare a mangiare al ristorante, una volta si facevano le ore piccole per discutere di un libro, di un quadro o di un film, oggi per bene che ti vada ti mandano un sms. Io per fortuna non ho il telefonino e sono salvo da questa forma di abbrutimento». Qual è la parola che oggi le fa venire l’orticaria? «Performance. Mi dà molto fastidio. Tuttavia una volta, nel 1969, una performance l’ho ospitata anch’io, ma era una mostra di Pietro Lista che ci smontò completamente la galleria per installare corde, palloni e cose strane». Se fosse un quadro quale vorrebbe essere? «Trovare qualche sponsor per pubblicare un libro con le foto del nostro archivio, sono più di mille. Lo vorremmo dare ai nostri clienti per Natale». In conclusione, combattente o reduce del Novecento? «Un reduce oramai. Alla mia veneranda età non si può essere combattenti. Un reduce lucido, però, è l’unico conforto che ho».