OMAGGIO A CARLO MONNI

OMAGGIO A CARLO MONNI

Scrissi questa lettera aperta a Carlo una sera che a Firenze tanti amici lo ricordarono.“Caro Carlo, o meglio, caro Monna, come ti chiamava Benigni. Fu lui che ci fece conoscere quando convincemmo Massimo Fichera, il mitico direttore della Seconda Rete, a tradurre in un programma televisivo il rivoluzionario monologo “Cioni Mario di Gaspare fu Giulia”, che si dipanava in una feroce invettiva contro la miseria, contro i padroni sfruttatori, contro l’ignoranza a cui il popolo di Cioni era condannato, contro la superstizione… insomma contro il mondo tutto.Pensammo (con noi c’era anche Giuseppe Bertolucci che aveva scritto il monologo insieme a Roberto), di sceneggiarlo il monologo e di far parlare Roberto con se stesso, con interlocutori lasciati alla immaginazione dei telespettatori, ma anche con un personaggio vero: quel personaggio vero eri tu Carlo Monni, il mitico Monna.Dico “mitico” perché, prima ancora di conoscerti, i racconti di Roberto, palesemente inventati di sana pianta o amplificati a dismisura, ti descrivevano come un personaggio mitologico che veniva dal sofferto mondo contadino che il miracolo economico e l’inurbamento avevano dissolto. Apparisti subito come il partner ideale di Roberto, quasi il suo alter ego, il suo complemento: lui esile e tu massiccio; lui elucubratore e tu diretto. Insomma eri il Monna di Benigni.Di Vita da Cioni (così si chiamò il programma televisivo) rimangono indelebili le poche scene in cui appari tu, soprattutto quella in cui tu e Cioni progettate modi strampalati e bislacchi per suicidarvi, con quel finale esilarante nella sua tragicità, quando, Cioni dice con aria sconsolata e prendendo atto del fallimento totale delle vostre vite: “ ‘un c’è verso non siamo boni nemmeno a mori’ “.Roberto non poté fare a meno di te nel suo secondo programma, lo scandaloso Onda libera, censurato fin dal titolo che doveva essere Televacca. In un’epoca in cui nascevano televisioni dappertutto e che si chiamavano Telequì Telelà, Telesù, Telegiù, tu insieme a Roberto assaporavate il gusto della libertà di informazione da una stalla, in mezzo alle vacche. E lì tu fosti l’elemento fondamentale della strampalata dialettica benignana, quasi una parodia hegeliana: quando lui era la tesi, tu eri l’antitesi… quando l’antitesi era lui tu avevi il compito sublime della sintesi. Come nel “discorso sulla libertà della donna”, la sintesi era affidata a te: “se la mi’ donna mi dice ho da andare a lavare… libera! Ma se la mi’ donna mi dice ho da andare al cinema da sola, libertà fino a un certo punto: o che ci va a fare al cinema da sola, che non lo capisce nemmeno…”Ci perdemmo di vista ma ti seguii sempre nel tuo percorso di attore diverso, fuori da tutti gli schemi. Ho conservato sempre gelosamente il ricordo del nostro incontro in un momento straordinario delle nostre vite, quando vedemmo l’alba di un fenomeno. Questo fenomeno si chiamava Roberto Benigni.