QUELLA TRISTE CORSA CONTRO IL TEMPO DI STEVE MCQUEEN
DI MICHELE ANSELMIIeri sera ho rivisto su Sky “Il cacciatore di taglie”, l’ultimo film girato da Steve McQueen. Il poliziesco di Buzz Kulik, niente di che, pure parecchio rabberciato, uscì negli Stati Uniti il 1° agosto del 1980, con scarso successo. In effetti non sapeva scegliere tra action e commedia. Tre mesi dopo, il 7 novembre, appena cinquantenne, l’attore sarebbe morto in Messico, in seguito a un inutile intervento chirurgico effettuato per rimuovere un tumore al polmone. Vedendo quel film, ho provato a immaginare la fatica che deve aver fatto McQueen, nel suo celebre giubbotto verde con fodera arancione, per saltare, sparare, correre, arrampicarsi dappertutto, anche sul tetto di un vagone della metropolitana. Il suo viso rivela una notevole mestizia, anche un senso di vaga sofferenza, benché la storia ce lo presenti come un sorridente cacciatore di taglie prima riluttante a diventare padre e poi felice come una Pasqua quando prende tra le mani il neonato ancora bagnato partorito in macchina dalla compagna. L’anno prima, pur provato dalla grave malattia, aveva girato un western che più crepuscolare non si può, “Tom Horn”, dove finiva ingiustamente impiccato. Come se McQueen avesse urgenza di chiudere alla grande, stando sempre sul set, per esorcizzare la fine e lottare contro il tempo; o forse per accogliere la morte così stanco da non pensarci più.
