SOPRAVVISSUTE. STORIE DI AMORE MALATO. LEI E’ R
R, una lettera, l’iniziale di un nome, e di nomi ce ne sono molti, così come di vite che questi nomi nascondono spesso dietro occhiali troppo grandi, dietro finti incidenti, dietro la paura. R viveva la sua storia in modo perfetto, un matrimonio, un marito con cui si era scambiata la promessa di condividere il futuro, due figli. Ma alcune promesse restano ingessate nell’abito indossato per pronunciarle, all’interno di una chiesa oppure di una sala comunale. Le promesse d’amore poi svaniscono improvvisamente. Come racconta R “iniziò tutto con le parole, che più passava il tempo e più diventavano pesanti, offensive, minacciose. Non si trattava di banali liti, comuni a tutte le coppie, e che si concludono in modo sereno. Erano parole che incidevano l’anima di chi le ascoltava, la mia anima, segnandomi con la paura di ascoltarle ancora. E noi donne, lo assicuro, percepiamo subito ciò che dietro quelle parole si cela, il pericolo”. Forse è vero, forse l’istinto suggerisce subito di scappare, di difendersi, di tutelarsi. E spesso alcune donne trovano il coraggio di denunciare quanto stanno subendo, ma purtroppo chi dovrebbe rasserenarle, nella maggior parte dei casi, non riesce a comprendere quanto malessere provochi il doversi difendere da chi si è amato, quale sforzo si sia compiuto per muovere passi che sembrano incollati al pavimento talmente sono pesanti. E questa mancata comprensione si risolve in raccomandazioni, non in vera tutela, non si chiama il denunciato per metterlo davanti alla paura che ha provocato. Si compilano degli atti, e poi chi era spaventato viene rimandato nella sua abitazione, una esortazione implicita a rintanarsi nel proprio angolo di solitudine e timore. R “ricordo che mi minacciava dicendo che mi avrebbe spaccato una sedia in testa, e la mia paura si amplificava, perché non riuscivo a comprendere il motivo del suo rancore, della sua violenza, del suo disprezzo per la mia vita. Come si fa ad avvelenare così la persona che dicevi di amare? E nei suoi occhi nessuna traccia di affetto di tenerezza, mentre le minacce continuavano, come quando una volta mi disse che mi avrebbe buttato dalla finestra. Iniziai a temere il suo ritorno a casa, ogni giorno, appena la porta si apriva, il terreno sotto di me si spalancava. Trovai appoggio in mia madre, a cui avevo mandato un messaggio in cui le esprimevo i miei timori, ed anche mio padre mi diede forza, tanto che dopo aver con entrambi i miei genitori decisi di separarmi”. Un aiuto importante, che non sempre viene richiesto, tacendo su tutto, comportandosi come se il mondo girasse per il verso giusto, mentendo a chi ci conosce, ai nostri parenti, agli amici, ai colleghi. Paura di una vergogna che dovrebbe riguardare l’altro, il mostro, ma che invece viene percepita come propria. R” cercai un dialogo con lui, gli dissi che volevo separarmi e che avevo trovato un avvocato, ma la sua reazione mi spaventò, divenne aggressivo, gli occhi iniettati di odio. Odio verso di me. Una sera, mentre ero al telefono con mia madre, chiusa in camera da letto, lui entrò improvvisamente sfondando la porta, una furia pazzesca riversata contro di me, le sue mani al collo, la paura di morire, le lacrime che bruciavano gli occhi. Riuscii a divincolarmi, a correre verso la porta di casa, e poi su per le scale urlando, chiedendo aiuto, mentre sentivo anche il pianto dei miei figli, all’epoca ancora piccoli. Io che piangevo sulle scale con il mondo che stava crollando, la mia vita in pericolo, il silenzio attorno e quel pianto dei miei due angeli che mi entrava ovunque, circolava dentro me assieme al terrore ed all’ansia. Mia madre in seguito mi disse di aver sentito tutto al telefono, e di essere precipitata in stato di shock, temendo per la mia vita. Non so come riuscii a chiamare i carabinieri, forse un telefono prestato da qualcuno, fotogrammi di ricordi che non riesco a mettere a fuoco. In attesa delle forze dell’ordine lo supplicai di darmi i bambini, per tranquillarli, poi scesi le scale, terrorizzata, ma la paura dei carabinieri lo fece fuggire in strada, dopo avermi dato il bambino più piccolo in braccio. Il carabiniere a cui sporsi denuncia, una volta arrivato, mi raccomandò di chiudermi in camera mia per la notte. Non riuscii a credere a quanto mi era stato detto, anche perché da pochi giorni era stata diffusa la notizia di Melania Parolisi, uccisa dal marito. Così dissi ai carabinieri che non sarei uscita da quella casa in una bara, presi i bambini ed andai dai miei genitori. Solamente dopo 2 giorni, con mio fratello come scorta, trovai la forza per andare a prendere le mie cose dall’appartamento. Col passare del tempo dimagrii, nutrendomi solo di veleno e lacrime, ed ancora oggi, dopo 8 anni, con lui non parlo se non per motivi legati ai figli, e per telefono. Ma per il resto è un estraneo. Ora sono serena, ho accettato il fatto che bisogna lasciare andare chi amavano per poter amare noi stesse. L’amore non picchia, non uccide, non terrorizza. L’amore protegge, ed io ho preferito proteggere me stessa”.
