SVOLTA PACIFISTA NEI RAPPORTI FRA LE DUE COREE

Sembra passata un’era geologica dei momenti di massima crisi fra Corea del Nord e Stati Uniti, quando Kim e Trump si sfidavano a chi avesse il pulsante nucleare più grosso, mentre in realtà sono passati solamente pochi mesi, nei quali la situazione pare completamente capovolta: siamo passati dalle minacce concrete di guerra ad incontri distensivi di portata storica, come quello fra Donald Trump e Kim Jong-un avvenuto sull’isola di Sentosa, a Singapore, lo scorso 12 giugno o come l’appena concluso vertice fra le due Coree tenutosi a Pyongyang. La portata storica dell’ultimo vertice è peraltro duplice, tanto per il solo fatto di essersi tenuto per la prima volta dopo la guerra che ha segnato la divisione della penisola in due, quanto per i risultati raggiunti, considerati da tutte le parti in causa passi avanti oltre le aspettative. Facciamo un passo indietro. A conclusione del conflitto in Corea, nel 1953, è stato firmato un “cessate il fuoco” a cui, di fatto non è mai seguito un vero e proprio trattato di pace, tanto che le due nazioni sono tecnicamente in uno stato di belligeranza permanente da allora. Il tutto con la conseguente instabilità geopolitiche nell’area in cui, oltre ai due belligeranti, sono ovviamente interessate con ruoli da protagoniste, da un lato e dall’altro, Stati Uniti, Giappone, Cina e Russia. L’apice della tensione degli ultimi anni era stata raggiunta non più di qualche mese fa, in concomitanza con l’annuncio nordcoreano di aver portato a termine lo sviluppo di un proprio programma nucleare, con la conseguente capacità di costruire missili balistici a lungo raggio in grado, teoricamente, di colpire gli stessi Stati Uniti, ed il conseguente inasprimento delle sanzioni economiche contro Pyongyang. Di tutta evidenza pertanto che la questione nucleare, ed in particolare l’accettazione da parte del dittatore nordcoreano di un piano di disarmo, fosse il punto nodale su cui poggiare qualsiasi trattativa di pace nell’area, tanto che proprio l’indisponibilità di Kim Jong-un a rinunciare al proprio ruolo di potenza nucleare, aveva comportato enormi passi indietro nelle relazioni con gli Stati Uniti, avvenuti dopo lo storico incontro con Trump. Nell’ottica nordcoreana la questione ha pienamente senso: di fatti, prima di divenire una minaccia nucleare, l’unica reale salvaguardia da una possibile azione internazionale per deporre il dittatore, risiedeva nella protezione offerta dal quadro delle alleanze internazionali, Cina e Russia in particolare, sulla cui invariabilità sarebbe impossibile scommettere, motivo per cui appare strategicamente comprensibile l’intenzione di non cedere sulla “garanzia” nucleare. Di contro però, oltre al quadro strategico internazionale, una delle principali preoccupazioni del leader nordcoreano è rappresentato dalla enorme crisi economica che da anni attanaglia il Paese. Pur rimanendo la Corea del Nord una delle nazioni meno conosciute in assoluto, è ormai nota l’enorme differenza di tenore di vita fra la capitale Pyongyang ed il resto della nazione, scarsamente industrializzata, con enormi ritardi tecnologici anche sul piano agrario e con preoccupanti livelli di denutrizione e coperture sanitarie. La società nordcoreana è organizzata essenzialmente su tre diverse classi, in base al “livello di fedeltà” al leader, sulla base dei quali è decisa, fra l’altro, la possibilità per i nuclei familiari di vivere nelle città, prima fra tutte proprio la capitale, o nelle campagne con condizioni di vita decisamente più povere. Il sistema, semplice ed efficace, ha consentito fino ad oggi di garantire una sorta di gara alla fedeltà, ivi compresa ovviamente la delazione di soggetti che esprimessero obiezioni al regime, realmente funzionale a garantire il pieno controllo sul Paese. Il nodo economico tuttavia inizia ad essere un problema difficilmente gestibile, pur in un regime totalitario come quello guidato da Kim. Non a caso, al di la delle divisioni ideologiche e delle posizioni irrinunciabili, specialmente statunitensi da un lato e nordcoreane dall’altro, con l’annessa necessità di individuare una soluzione che consenta di salvare entrambe le facce, quella che ad oggi pare essere la svolta decisiva è stata introdotta grazie all’impegno diretto di Seul che, tanto negli ultimi mesi quanto nel vertice appena concluso, si è particolarmente spesa nell’offrire ausilio economico e commerciale al Pyongyang. Il corridoio rimane stretto, soprattutto perché i tentativi di avvicinamento fra le due Coree devono per ora evitare i settori su cui pendono le sanzioni internazionali, fortemente volute da Washington, il cui benestare è essenziale per il proseguo del cammino di pace avviato. Tuttavia la mediazione del presidente Moon, attraverso la quale la Corea del Sud ha di fatto svolto il “lavoro sporco” al posto di Washington, si è dimostrata realmente efficace. In ogni caso l’accordo sottoscritto sarà presentato dal Presidente Sudcoreano negli Stati Uniti a Donald Trump il prossimo 24 settembre, nella speranza che la Casa Bianca lo avalli. Per avere possibilità di passare il vaglio statunitense, Kim Jong-un ha inserito nell’intesa la chiusura permanente del sito nucleare di Yongbyon, ossia dell’unico reattore della Corea del Nord dove sono situate tutte le principali strutture per la ricerca sull’atomo, avviando peraltro, almeno sulla carta, un percorso che dovrebbe portare da qui a qualche anno la denuclearizzazione della Corea. L’accordo prevede anche la chiusura di alcuni avamposti in prossimità della zona demilitarizzata ancora presente fra le due nazioni, la riapertura del sito turistico nord-coreano del monte Kumgang anche ai cittadini Sud-coreani e l’avvio di piani per aiuti umanitari verso i territori del nord. Prevista inoltre un’intensificazione del progetto che punta a riunire famiglie separate, nonché lo sviluppo di collegamenti ferroviari e stradali transfrontalieri. Possibile, infine, una candidatura congiunta per i Giochi Olimpici estivi del 2032. Le notevoli e per certi versi inaspettate aperture nordcoreane restano tuttavia vincolate ad una apertura altrettanto significativa da parte statunitense, con richieste che resta da vedere quanto siano accettabili dalla controparte. Certamente Kim Jong-un ci ha abituato a comportamenti quantomeno imprevedibili, spesso fatti di concessioni e successive retromarce e, altrettanto certamente, l’attuale inquilino della Casa Bianca non è da meno in quanto a colpi di tesa, in ogni caso il percorso di riavvicinamento fra le due Coree e la conseguente stabilizzazione dell’area, sembra dopo quest’ultimo storico vertice a Pyongyang, per la prima volta realmente a portata.