IL BRASILE SULL’ORLO DELL’ABISSO

IL BRASILE SULL’ORLO DELL’ABISSO

“Babel”, un festival dedicato alla traduzione e alla letteratura, che si svolge a Bellinzona, capitale del Canton Ticino, Babel, nella sua XIII Edizione (14-16 settembre), dedicata al Brasile, non ha potuto evitare di trattare il versante politico e sociale. Negli stessi giorni, il Premio Nobel per la pace, l’argentino Adolfo Perez Esquivel, presidente della Lega Internazionale per i Diritti umani e la liberazione dei popoli, rendeva noto una sua lettera aperta in cui chiedeva al mondo di difendere Lula, già presidente della Repubblica Federale del Brasile, ora in carcere: difendere Lula, significa difendere non solo il suo diritto alla libertà e alla partecipazione alla imminente elezione presidenziale, ma anche il diritto del popolo brasiliano all’esercizio della scelta. Com’è noto, in tutti i sondaggi pre-elettorali, Lula era dato come sicuro vincitore, e lo scopo di quello che la quasi totalità dei giuristi di ogni nazione ha chiamato “golpe bianco” appare in tutta la sua nuda e dura evidenza: impedire a Lula di ritornare al potere. In altre parole, Lula (e in misura minore la Roussef) era ed è un obiettivo politico. Come scrive Perez Esquivel, sintetizzando, Lula “è in prigione per aver lottato contro povertà e fame, per aver sottratto dalla miseria 36 milioni di brasiliani e brasiliane, per aver restituito loro la dignità come persone, insieme alla capacità di educarsi, di avere casa e lavoro”. Al di là degli errori sicuramente commessi, delle incertezze politiche, Lula rimane il liberatore del Brasile del nostro tempo, una sorta di Spartaco che ha lottato contro i poteri, interni ed esterni, che in nome delle due parole iscritte nella bandiera del  Brasile (“Ordem e Progresso”), hanno per decenni massacrato  in ogni senso i popoli indigeni, e hanno schiacciato quella oltre metà della popolazione brasiliane di origine africana, e in generale tutta la enorme massa di deprivilegiati a cui, appunto, come scrive Perez, Lula ha cercato di restituire dignità. Questa la sua “colpa” irredimibile, in una società dove lo squilibrio economico tra ricchezza estrema e povertà assoluta è immenso e, a partire dalla crisi finanziaria internazionale del 2008, crescente, ma un paese in cui esiste anche uno squilibrio di carattere etnico. In fondo alla scala sociale la popolazione india, per la quale in verità sia Lula, sia Dilma poco hanno fatto, e che, anzi, spesso hanno gravemente trascurato; poi quella maggioranza afrobrasiliana che in parte appunto grazie ai governi progressisti ha compiuto grandi passi avanti, ma che ancora è la componente quasi unica delle prigioni brasiliane, segno di persistente emarginazione e miseria. Lo sforzo di Lula andava nella direzione opposta, e la logica spietata dell’ultraliberismo e del finanzcapitalismo non poteva consentirlo oltre. Infine, nella deriva di questo paese, immerso in una crisi sociale, istituzionale e morale, forse la maggiore degli ultimi decenni, anche peggiore degli anni della dittatura (1964-1984), non si può non menzionare la notte tra il 2 e il 3 settembre quando è andato a fuoco (ormai si ha quasi la certezza dell’incendio doloso) uno dei più importanti musei del mondo, il più antico del Brasile, il Museo Nazionale a Rio de Janeiro. E tanto per far capire la situazione, si può ricordare che a fine 2015 ancora un incendio aveva colpito un altro, piccolo, ma straordinario museo, a San Paolo, quello della Lingua Portoghese.