ESSERE GENITORI OGGI, CONTRO IL DILAGARE DELL’INDIVIDUALISMO

ESSERE GENITORI OGGI, CONTRO IL DILAGARE DELL’INDIVIDUALISMO

Ne parlavo con una cara, bella persona, sul difficile ruolo di noi genitori dell’oggi, in costantelotta contro una società deviata e tuttavia, paradossalmente, allevata da noi stessi; su un telefono cellulare che, per troppi ragazzi (…e adulti! Brutto esempio, amici miei, molto brutto…l’intelligenza di una persona o il suo ‘apparire al meglio’ non si basano certo su quante telefonate si fanno o ricevono in un giorno, per fare pettegolezzo o scattare foto del pranzo),ha oramai sostituito l’amico del cuore, o lo stesso genitore.Dunque si parlava del ruolo di genitore, mai degnamente affrontato: fragilità, insicurezze, meraviglia per la vita e allarme per ciò che non conosciamo, che verrà dopo la vita stessa. Penso sia anche questo timore verso lo sconosciuto che, sovente, spinge ad agire in maniera affrettata o pericolosa, forse, per quanti amiamo e ci amano, ci attorniano.Penso fortemente che si debba riprendere a parlare coi nostri figli; guardarli negli occhi e parlare, lontani da Tv spazzatura e telefoni invasivi/invasori. Dobbiamo loro l’esempio di vita, non un auto nuova.Regalare parole, abbracci dai quali traspare quel profondo amore senza i tabù che rappresentano fondamentalmente ciò che tutti noi genitori carichiamo sulla schiena e da sempre, vacuo bagaglio culturale di una Italia ancora troppo provinciale e bigotta: la sottile colpa inflittaci da una religione misogina, capace d’instillare peccati per tentare di redimerci dall’essere al mondo. Perdonarci il modo di approcciarci coi nostri ragazzi: piccoli uomini figli di uomini fragili, troppo fragili…a volte troppo severi e a volte, forse, troppo portati a sorvolare su cose che andrebbero condannate senza Se e senza Ma.Una madre, un padre che fanno i/che Sono genitori -sapete ciò che intendo-comprendono e, dove non sanno, sentono. E qui ci sostiene, purtroppo o per fortuna, l’istinto della Natura…Mi viene in mente una mia Mama africana, mamma spirituale. Una volta mi raccontò delle loro donne che partoriscono accovacciate, sedute sotto baobab secolari in grado di offrire cibo e riparo a un intero villaggio (e dove partorirono le loro madri, quindi, prima ancora, le madri delle madri),o all’interno di grotte. Simbolicamente è ritornare alla terra, Madre del Tutto: il bambino che nasce da una madre, la sua biologica, per entrare nell’utero della Grande Madre, che l’accoglie per crescerlo. Le donne partoriscono sostenute soltanto dalle altre donne del clan; pare che nemmeno lo sciamano, sacro sacerdote guaritore, possa accedere al luogo del parto considerato sterile, puro, vietato al maschio fino alla avvenuta nascita del bambino.La Mama nera diceva: noi non sappiamo come farlo, è la Natura che lo insegna.Parlava e pensavo, sorridendo, a quante donne riempiono testa e cuore con corsi pre parto, riviste, libri di autoaiuto…lapalissiano, comprensibile modo di fare catarsi, di darsi coraggio verso quello che è e resta il vero e più grande miracolo: venire al mondo. Ciò che può farci certamente riflettere sul ruolo della donna-femmina-madre, da sempre combattuta nel suo essere donna ché, in realtà, temuta: quale potere più grande vi è del dare la vita?.Le donne delle tribù, e noi tutte appartenenti all’evoluto ‘primo mondo’ (ma è davvero questo nostro, il ‘primo mondo’?) portiamo ogni insegnamento di vita nel DNA: ancestrale, nuovo ma sempre stato. Un poco come quando noi, signori ‘alla moda’, ci rechiamo in un luogo e affermiamo, per dirla con ricercatezza, che abbiamo un déjà vu: ci troviamo, chessò, in una città che non abbiamo mai visitato ma che, inaspettatamente, ci regala l’impressione di conoscerla bene. Secondo alcune teorie, quel luogo è nel nostro DNA perché visitato da un lontano parente, comunque visitato da altri uomini ergo, secondo la nozione di coscienza universale, ‘inglobato’ in un modo o nell’altro in ognuno di noi.Forse essere genitori è questo, anche. Ritornare, per tramandarlo, a ciò che è sempre stato in noi e seppure trascurato, dimenticato da noi.In ogni modo, penso che l’amore costante e dimostrato ai figli sia la vera corazza presente e futura per l’intera famiglia, quel nucleo avvezzato al superfluo e che l’attuale crisi sociale sta mettendo a dura prova. Amore come fede: che non vedi o ascolti ma, semplicemente, senti.Ai miei allievi consiglio spesso, tra vari testi…pensanti, una riflessione critica sul Gibran, autore libanese naturalizzato statunitense, di religione cristiano-maronita.Loro, i figli, sono le nostre frecce: noi, gli archi, dobbiamo ‘lanciarli’, metterli al mondo, insegnare loro a manovrare un timone di bonaccia e di tempesta. La vita, il vento (le circostanze dell’esistere), li condurranno dove devono. E voleranno comunque amici miei, con noi o senza, come è giusto che sia, fino a quando diverranno nuovi archi. Ma debbono essere loro a scegliere l’altezza della montagna verso la quale mirare;se vorranno puntare alle radici, andrà bene comunque. Ma volino, che volino oltre l’idiozia.Ogni insegnamento da loro ‘inglobato’ tramite l’esempio, l’abbraccio, verrà tramandato.E Noi… Abbiamo fatto il possibile o forse no, comunque ci abbiamo provato.Adesso tocca a loro meritare la Terra, terribile e meravigliosa.Meritare di Esistere.Sono convinta che un abbraccio anche forzato, verso quel figlio che appare più reticente o comunque stordito da una società malata, plagiata dal consumo, rappresenti l’abbraccio protettivo, rigeneratore della Madre Terra verso le nuove generazioni. Abbraccio, ne sono convinta, indispensabile come aria:unico e solo, che ricorderanno dopo noi pure se noi, dieci minuti dopo, l’abbiamo già scordato,perduti come siamo in questa sciocca, inconsistente corsa alla vanità.