SULLA SOLITA PANCHINA, DOPO AVER PARLATO CON MIO FIGLIO DI SCUOLA E LIBERTA’

DI GIANLUCA ARCOPINTOSto sulla mia panchina. E’ notte ormai da un po’. Ho lasciato mio figlio a dormire. Tanto lui lo sa. Basta aprire la porta, attraversare il cortile e mi trova. Lo sa che sono qui. E’ una bella nottata. Fa quasi caldo. Nella piazza non c’è nessuno. Non ho sonno. E allora i pensieri si accavallano. Mio figlio a cena mi ha detto che vuole occupare la scuola. Fa la terza media. Gli danno troppi compiti. Gli spiego che non è un motivo valido per occupare una scuola. L’occupazione durerebbe solo qualche secondo, poi verrebbe spazzata via. Giustamente.“Sì, ma la scuola fa schifo. Anche se ci hanno fatto una legge non è una Buona scuola. Non la mia, in generale. E se vengono i carabinieri facciamo uno striscione per ricordargli Stefano Cucchi e li mandiamo via.” Forse ho sbagliato a fargli vedere “Sulla mia pelle”. O forse no. “E poi non mi piace uno stato che arresta un sindaco perché aiuta i poveri”. La giustizia illegale non è tema da affrontare. O forse sì. Per lui i migranti sono soprattutto poveri. E a noi i poveri ci sono piaciuto sempre più dei ricchi. “Ma in tutto questo, li hai fatti i compiti?”. Mi guarda. Sorride. Risponde no. “Li faccio adesso”. E poi l’ho aiutato a fare i compiti. Geografia e francese. Ci ha messo mezz’ora. Poi ha giocato un po’ con il telefonino. Si è lavato i denti. E’ andato a dormire. E adesso io mi ritrovo qui, sulla mia panchina, da solo, con questi pensieri in testa più confusi di quelli di mio figlio. Che almeno, a differenza mia, avrebbe voglia di agire.Agire.Nel silenzio della notte, stanotte grazie a mio figlio ho capito che sto ritrovando la voglia di agire. Perché c’è bisogno di agire per aggredire la confusione. Come, lo comincerò a capire quando fa giorno.