JAIR BOLSONARO, NON CREDERE ALLE CARICATURE

JAIR BOLSONARO, NON CREDERE ALLE CARICATURE

Tutti i media italiani, chi più, chi meno, stanno definendo il nuovo presidente brasiliano come un “fascista”. Chi con qualche soddisfazione, chi con disgusto e preoccupazione. Piace, questa definizione, ai “sinistri” che appaiono preoccupati particolarmente delle sue esibizioni, molto mascoline, contro gay, trans, e tutta la tematica di genere. Inquietano le sue sparate contro la droga, la violenza, la corruzione. Insomma la demagogia tutta “ordine e sicurezza”. Ai “destri” quasi tutte queste cose, ovviamente, piacciono. Messe tutte insieme sotto l’ombrello del populismo, piacciono anche al pubblico di destra europeo. Ma né i “sinistri, né i “destri” sembrano vedere che, in primo luogo, Bolsonaro è il prodotto della potentissima setta evangelico-protestante dei Pentacostali.Cioè si perde di vista, nella fretta di tradurre in termini europei quello che accade in Brasile, il dato fondamentale del Brasile odierno, un tempo dominato dal cattolicesimo e ora precipitato nel millenarismo protestante. Con tutta una serie di effetti politici assai rilevanti. Siamo di fronte a un cambio storico che, tra le altre cose, comporta una svolta pro-sionista del più grande paese latino americano, visto che gli evangelici sono tradizionalmente vicini ai miti sionisti della Terra promessa. Cioè Bolsonaro è il punto di approdo di una vasta penetrazione politica, economica, culturale del liberismo anglosassone, di cui le sette protestanti nell’America del Sud come in quella del centro e del nord, sono state dovunque un potente e ricchissimo veicolo di moderna sovversione. Quindi: Bolsonaro è destra, senza dubbio, ma è anche qualche cosa d’altro, e di non meno importante della “destra fascisteggiante”. Siamo piuttosto di fronte a un agente della politica neo-liberista più sfrenata: privatizzazioni a tutto spiano sono già annunciate, a cominciare da quella del gigante petrolifero “Petrobras”; per continuare con lo smantellamento di tutta la sfera pubblica, in particolare del tentativo dei governi di Lula e Roussef in difesa dei “senza terra”. Gridare al “fascista” oscura l’evidenza di Bolsonaro come uomo delle “lobbies” finanziarie, a cominciare dalla “Banca Ruralista”, che lo ha potentemente aiutato a vincere. Il caposaldo della casta agro-industriale che detiene — essendo l’1% della popolazione — il 50% di tutte le terre agricole brasiliane. Dietro a questa c’è l’agro-business dei produttori di semi geneticamente modificati, in primo luogo della soja; ci sono gli allevatori di bestiame; ci sono gli oppositori alla ri-forestazione dell’Amazzonia, che sono gli stessi che vogliono cancellare le leggi create da Lula a difesa degl’indigeni autoctoni.Tutta la retorica sulla legalizzazione del porto d’armi, sul via libera all’uso delle armi da parte della polizia, sulla definizione di “terrorismo” alle manifestazioni e azioni popolari in difesa di un uso dei territori che non sia distruttivo dell’ambiente e delle persone che ci vivono, fanno di Bolsonaro un perfetto agente “comprador” della globalizzazione. Insomma c’è populismo e populismo. Quello di Bolsonaro è piuttosto una copertura — sicuramente efficace nel suo carattere plebeo e muscolare — della rivincita americana dopo un ventennio di oscuramento prodotto dalla spinta popolare. Rivincita del mercato sopra ogni vincolo, incluso quello della ragione e del buon senso. L’opinione dell’autore può non coincidere con la posizione della redazione.