MOHAMMED BIN SALMAN, DETTO MBS, TEME PER LA SUA VITA

Dicono che Mohammed bin Salman, detto MBS, tema per la sua vita. Dunque l’erede al trono saudita – ha scritto l’analista americano Bruce Riedel – invece di dormire a palazzo preferisce trascorrere la notte sul suo yacht, a Gedda.Voce o verità non c’è dubbio che la situazione è fluida. E a poco servono le chilometriche interviste rilasciate dal principe dove ostenta sicurezza. Il messaggio che vuole trasmettere alla comunità globale, quella che dovrebbe investire nei suoi progetti ambiziosi, è di un leader in pieno controllo. Pochi giorni fa gli hanno chiesto un commento sulla sparizione di Jamil Khashoggi e lui ha ripetuto: «E’ entrato nel consolato ed uscito dopo pochi minuti o un’ora, non ne sono sicuro…Il punto è sapere dove si trovi…I turchi possono entrare e controllare».Il punto è capire sin dove voglia spingersi. «Sappiamo quello che dice Mohammed – ha osservato un diplomatico – ma non sappiamo ciò che pensa». Interrogativi legati alle mosse dell’uomo forte. Davvero Khashoggi è una così grave minaccia per il potere? Qualcuno dubita, altri sostengono che i commenti critici del giornalista riflettono il pensiero di personalità autorevoli, altri ancora indicano la battaglia di propaganda che coinvolge Turchia, Qatar, Emirati, figure saudite. E ricordano un recente attacco lanciato dal principe Ahmad bin Abdulaziz sul controverso dossier del conflitto nello Yemen. Un impegno militare gravoso per i sauditi affiancati dagli amici regionali, una guerra che ha fatto decine di migliaia di vittime tra i civili e che Mohammed ritiene sia una priorità e serva a contrastare l’Iran, alleato dei guerriglieri sciiti Houti.L’azione bellica feroce ha provocato contraccolpi fino a Washington. Parlamentari democratici e repubblicani si sono mossi chiedendo di porre dei limiti ai sauditi, idea condivisa anche da diplomatici impegnati su questo fronte. Ma il segretario di Stato Mike Pompeo li ha respinti usando la carta degli affari: se facciamo pressioni rischiano di perdere il contratto per le armi da due miliardi di dollari. Pragmatismo mescolato alle frecciate di Donald Trump. Il presidente ha affermato che senza l’appoggio Usa l’Arabia «non resiste neppure due settimane». Il principe ha incassato, si è detto in disaccordo, però ha evitato polemiche profonde. Non può certo permettersi di perdere la sponda della Casa Bianca.Con altri il giovane «delfino», ha soli 33 anni,ha mostrato minore pazienza. Si è scontrato con Canada e Germania, ha segregato a lungo il premier libanese Hariri. Indiscrezioni hanno rivelato che i servizi segreti hanno spiato esuli nel territorio canadese usando uno speciale software fornito da una ditta israeliana. In modo sistematico ha schiantato le voci di dissenso o chi poteva fare ombra e poco conta che li abbia rinchiusi nella gabbia dorata dell’albergo Ritz Calton. Con un colpo di mano ha messo le mani su gran parte dell’impero della compagnia bin Laden. Il decisionismo, insieme alla stretta interna, ha raddoppiato i dubbi degli osservatori, non è certo questa la strada per offrire garanzie. E prendendo di mira un esule di casa negli Stati Uniti forse MBS ha osato troppo – incalzano gli esperti -, possibile che questa volta abbia superato i confini accettabili. Al tempo stesso Mohammed può aver deciso di giocare rude in quanto ritiene che il pezzo da pagare sia accettabile. In fondo altri leader lo hanno fatto. Le incursioni degli agenti russi in Occidente a caccia di nemici, tra passi falsi e sfrontatezza, ne sono una prova. Lo è ancora di più quanto è accaduto con la Corea del Nord. Il regime – secondo l’accusa – ha fatto eliminare a Kuala Lumpur il fratellastro del Maresciallo e le uniche sotto processo sono le presunte assassine. Quanto a Kim – è notizia di queste ore – si incammina verso il secondo summit con Trump.