NEL GIORNO DEL TUO ONOMASTICO, AUGURI FRATELLO GABRIEL

NEL GIORNO DEL TUO ONOMASTICO, AUGURI FRATELLO GABRIEL

Ogni sera è il primo a entrare in chiesa e l’ultimo ad andare via. Si chiama Gabriel e viene dalla Romania. Non sa esprimersi nella nostra lingua e noi non conosciamo la sua. Anche l’età rimane avvolta nel mistero. Cammina zoppicando, appoggiandosi a un bastone, la barba incolta, gli occhi verdi, gli abiti trasandati. Chiede la carità senza pretendere, senza inveire; tende la mano con rispetto, discrezione. Siamo diventati amici, così, senza parlare, ricorrendo all’antico linguaggio dei gesti e del sorriso. Beve. Purtroppo, come tanti fratelli senzatetto, Gabriel beve. L’altra sera, stanco di offrirgli solamente abiti già usati, gli ho regalato un paio di scarpe nuove. Le ha calzate incredulo, con l’espressione di un bambino al quale la befana ha portato il giocattolo richiesto. Poi ha preso a camminare avanti e indietro per la navata centrale facendomi capire che le scarpe gli andavano proprio bene. Dopo diversi tentativi a vuoto per dirmi la sua gratitudine, stanco di cercare una parola che proprio non trovava, con gli occhi spalancati, mi ha mandato un bacio con la mano.L’inverno ormai alle porte ci dona giornate grigie, fredde, piovose. A me piacciono: mi aiutano a riflettere, a studiare, a pregare. O, forse, mi piacevano fino a quando Gabriel, umile, discreto, è entrato nella nostra vita. Da allora preferisco che la pioggia se ne stia rintanata tra le nubi, che il vento la smetta di sbuffare, che il tempo sia sereno. La casa di cartone di Gabriel, in mezzo alla campagna, quando piove si inzuppa, non regge, lasciandolo solo, bagnato, infreddolito. E lui il giorno dopo, deve cercare stracci e scatoloni per costruirne un’altra. A me piace essere svegliato dai tuoni in piena notte. O, meglio, mi piaceva. Adesso non più. Acqua, freddo, tuoni, lampi non vogliono bene a Gabriel, gli mettono paura, gli fanno male, gli sono nemici. A lui e alla grande schiera dei nostri fratelli e sorelle senzatetto.Sabato sera, prima della Messa. In chiesa siamo solo noi due: Gabriel con la schiena appoggiata alla porta d’ingresso, io sull’altare a sistemare il messale. Soli, il prete e il mendicante. E nel tabernacolo Gesù vivo e vero che impazzisce di amore per entrambi. Come tante altre volte mi ritrovo a farfugliare: «Parla, Signore, che il tuo servo ti ascolta». Prepotente allora mi ritorna in mente la parabola del fariseo e del pubblicano. Il primo, ipocrita e impettito, che, credendo di pregare, non fa che vantarsi dei suoi “meriti” e l’altro che, umile e pentito, confessa i suoi peccati.Lui, disse Gesù, fu giustificato, mentre il tronfio fariseo no. Gabriel non vuole andare al dormitorio, è vero; forse è anche responsabile dello stato in cui versa, non lo so. Beve molto e mangia poco, è altrettanto vero. Volendo potremmo trovare altri cento difetti che hanno fatto di lui un uomo solo, senza amici e senza casa. Eppure rimane un uomo nel quale Dio ama prendere dimora. E questa notte Gabriel e il suo Ospite divino hanno freddo. E come lui altri mille “Gabriel”, abitati dalla medesima Presenza viva, tremano, soffrono, muoiono.Un pensiero per loro. Un pensiero intriso di preghiera, di simpatia, di condivisione, di bontà. La monetina che lasciamo cadere nelle loro mani sporche, il pasto offerto o anche solo il bicchiere di latte caldo, la coperta per la notte che procuriamo fanno più bene a noi che a loro. Crediamolo. Questi fratelli, rimasti indietro nella pazza corsa della vita, ci aiutano a rimanere umili, grati, riconoscenti. A Dio, innanzitutto. Poi a chi ci vuole bene. Gabriel e i suoi fratelli e sorelle senzatetto, se mai dovessimo averlo dimenticato, ci ricordano che tutto è dono, di tutto dobbiamo rendere grazie, tutto abbiamo l’obbligo e la gioia di condividere con i più poveri.