BRAMINI, IMPRENDITORE FALLITO E BEFFATO. SOS A DI MAIO E SALVINI
E’ proprio vero, le disavventure quando bussano alla porta non finiscono mai. Ne sa qualcosa SergioBramini, l’imprenditore brianzolo, fallito per colpa dei crediti mai pagati dallo Stato italiano che, dopo la casa, rischia ora di perdere anche l’azienda. Una storia che comincia tempo addietro, salita alla ribalta dei media e cavalcata in campagna elettorale dal duo Di Maio-Salvini che della vicenda fecero un punto d’onore. Entrambi, a elezioni concluse, hanno più volte incontrato l’imprenditore monzese, indicandolo comel’emblema dello Stato da cambiare con il nuovo corso gialloverde. “Questo simbolo, deve lavorare con noi al governo perché lo Stato possa smettere con questo genere di assurdità”, dichiarò Di Maio, annunciando che Bramini sarebbe diventato un suo consulente al ministero dello Sviluppo economico, perché “adesso lo Stato siamo noi”. Ma tra il dire e il fare, come sempre, c’è di mezzo il mare.Bramini viene sì nominato dal ministro del Lavoro come uno dei propri consulenti ma,come riporta una sua intervista a Panorama,con un ruolo alquanto marginale e con un contratto che non basta neppure a coprire le spese. Una delusione per l’imprenditore, i due leader. Si sente usato e poi messo da parte. “Ricordo Salvini che mi dice: Sergio se ti cacciano da casa chiamami e vengo subito”. Dopo qualche telefonata, il silenzio. Gli brucia quel ruolo di consulente che non porta nulla di concreto. Il decreto dignità sarebbe stato l’iter più idoneo per proporre una norma ad hoc contro tutti i gabbati dello Stato ma si sente dire che non è il momento né l’occasione giusta.Minaccia le dimissioni, si sfoga con qualche intervista ma l’amarezza di essere stato un ‘simbolo’ solo per acchiappare voti è forte. “Il mio ufficio è a 20 metri dal suo, ma non lo vedo mai”, dichiara deluso riferendosi a Di Maio. “Per risolvere il mio caso, ed impedire che ne succedano altri, ci vuole la volontà politica di intervenire e opporsi alla magistratura. Di Maio, con tutta la stima che ho per lui, forse non ne ha abbastanza.La cosiddetta ‘norma Bramini’, contenuta nel Ddl Semplificazioni,onde evitare i pignoramenti per gli imprenditori a credito con lo Stato, non è sufficiente.E’ solo una goccia, un compromessorispetto alla proposta avanzata da me di estendere la misura a tutti, imprenditori, commercianti, partite Iva e famiglie in difficoltà, non solo ai creditori della P.A.”. Ora che l’esproprio della sua azienda torna a farsi imminente (i legali sono riusciti a rinviare la procedura al 16 gennaio prossimo),è il momento per Bramini di far risentire la sua vocea chi, in qualche modo si è servito di lui:“Tutelatemi”, scrive a Di Maio, Salvini e Bonafede.Verrà ascoltato e soprattutto supportato come chiede e merita dal governo? Solo il tempo, che in questo ‘caso’ è davvero risicato, ce lo potrà dire. E confermare o meno se quell’uomo con la sua drammatica vicenda sia stato solo usato per essere poi dimenticato, come pubblicamente denuncia. Lui,Bramini, 71 anni di Brugherio in Brianza, è un imprenditore sui generis. Titolare di un’azienda con 32 dipendenti la ‘Icom’, specializzata nei cosiddetti ‘servizi ambientali’, atti alla raccolta dei rifiuti.Anno dopo anno vanta un credito dallo Stato di circa 4 milioni di euro.Soldi che non arrivano e che mettono in ginocchio la su attività.Pur di non licenziare i suoi dipendenti, ipoteca la sua casa, una villa a Monza con piscina e ampio giardino. Finiti i soldi per il mutuo,nel 2011,il Tribunale, su istanza della banca che aveva erogato il prestito, ne decreta il fallimento.L’azienda chiude e i 32 lavoratori vanno a casa.Il curatore fallimentare, che tutela gli interessi della banca, mette all’asta la sua villa per rivenderla e saldare il debito con la banca.Un’asta alquanto anomala:anche l’ultima del novembre scorso, è andata deserta, facendo precipitare di oltre il 30% il valore iniziale stimato intorno ai 667mila euro. Giunge l’offerta di un cittadino cinese, titolare di una catena di centri commerciali, che avrebbe diritto ad aggiudicarsi la villa. Sembra però, che conosciuta la vicenda, si sia poi tirato indietro a patto di non perdere l’ingente caparra versata a fronte dei 500mila euro proposti in busta chiusa. Ma c’è anche l’offerta dello stesso Bramini di ‘composizione della crisi’,presentata prima dell’ultima asta, di 336mila euro. Soldi, questi, ottenuti con il sostegno di Credito Italia e raccolti grazie ad un‘di crowdfunding pubblico’. E che potrebbero tornare comodi, qualora dovesse sfumare (ma sembra improbabile), la proposta del commerciante cinese. Non molla però Bramini.E’ deluso e non lo nasconde.E’ deluso dalla politica che prima promette e poi dimentica. E’ deluso da quei paladini che di lui hanno fatto un simbolo per poi gettarlo nel dimenticatoio.Ora chiede tutele, e le chiede a gran voce.Ma forse, da quegli scranni e dalle quelle stanze ovattate, le sue urla di disperazione non trovano la strada giungere per giungere a destinazione.
