FEMMINICIDIO: IL TRISTE PRIMATO DEL MESSICO. INTERVISTA A CHI LO COMBATTE

FEMMINICIDIO: IL TRISTE PRIMATO DEL MESSICO. INTERVISTA A CHI LO COMBATTE

Femminicidio. Un termine che nasce in Messico, per definire il fenomeno dei delitti a sfondo sessuale a Ciudad Juárez (nello stato di Chihuahua), zona a elevata criminalità. Qui, dal 1993, sono state uccise oltre 370 donne (ma molti casi potrebbero non essere stati denunciati). Tutte giovani, provenienti da famiglie povere, per lo più lavoratrici dellemaquilladoras.Così sono chiamate le fabbriche di imprese straniere che delocalizzano in quella città, per abbassare i costi di produzione e approfittare di vere e proprie zone franche per quanto riguarda imposte e diritti dei lavoratori. Al fenomeno è stato anche dedicato il film “Bordertown”, con Jennifer Lopez, Antonio Banderas e Martin Sheen. Pare che le donne siano vittime di tratta – rapite, “usate” e uccise – uno degli affari collaterali del narco traffico (nella foto, una manifestazione contro i femminicidi a Ciudad Juárez).“Eppure, chi pensa che la violenza di genere, in Messico, sia limitata a questi episodi, sbaglia parecchio” dice Nancy López, avvocata della Comisión Mexicana de Defensa y Promoción de los Derechos Humanos (CMDPDH,http://cmdpdh.org/). “Tanto che a Città del Messico, i femminicidi sono più numerosi che a Ciudad Juárez”. L’abbiamo intervistata su questo tema. Il femminicidio è una realtà così diffusa e generalizzata?Sì, tanto che, negli stati dove si ha notizia di casi, vengono aperte con un meccanismo d’emergenza delle “alertas por violencia de género”, tavoli di lavoro che riuniscono rappresentanti della società civile e del governo federale per poter intervenire a livello locale. E cosa fanno nel concreto?Prima di tutto un’indagine di tipo conoscitivo, per capire l’origine della violenza e le conseguenze dell’impunità, dato che il femminicidio è un delitto con un’elevata possibilità di non trovare un colpevole, o di non arrivare nemmeno al processo. Per questo le donne sono poco propense a denunciare?Sì. manca una filiera di misure preventive e di protezione. Tanto che anche la corte interamericana per i diritti umani si sta pronunciando contro il Messico, che resta inerte davanti alle denunce per violenza domestica e così espone la donna a pericoli molto gravi. Se c’è una denuncia per violenza domestica e nessuno alza un dito, il problema non è più di quella famiglia. È un problema politico. È un problema di corruzione delle forze di polizia?Non solo. È soprattutto una questione di negligenza, che porta a forme di “oblio istituzionale”. Non si affrontano i diversi livelli del fenomeno. La violenza domestica, quella della criminalità organizzata – non sono rari i casi donne offerte come bottino di guerra – quella istituzionale, per esempio in carcere. Sappiamo che la tortura sessuale è diffusa nelle carceri messicane, soprattutto contro le donne. Si va dagli insulti alle minacce, fino allo stupro vero e proprio. Esiste nell’ordinamento messicano il reato di tortura?Sì, ma non esiste quello di tortura sessuale, per cui a un eventuale processo le due cose vengono trattate in modo separato. Da un parte la tortura, dall’altra lo stupro. E spesso non è visto di buon occhio dagli stessi giudici che si cerchi di perseguire entrambi i delitti, come se una condanna contro la prima comprendesse già il secondo, come se non ci fosse un ulteriore diritto a essere stato leso, quello all’integrità fisica e alla dignità della persona.