IL MINUTO NUMERO 13. DAVIDE ASTORI UN ANNO DOPO

IL MINUTO NUMERO 13. DAVIDE ASTORI UN ANNO DOPO

Un anno fa il 4 di Marzo faceva freddo. E’ una di quelle cose che, ovviamente, non ti ricorderesti mai. A meno che quel giorno, di un anno precedente, fosse un giorno particolare. Ecco, il 4 marzo 2018 particolare lo è stato per molti appassionati di calcio (ma in fondo non solo per quelli) perché moriva Davide Astori. Quest’anno fa molto meno freddo, anzi ieri sembrava quasi primavera. E se si vuole ha fatto, metaforicamente, anche molto meno freddo pure sui campi di calcio. Da tutte le parti infatti ci si è fermati quando si è arrivati al minuto tredici, e ci si è un po’ commossi (qualcuno anche molto, vedi Ilicic a Bergamo) e questo un po’ di calore da qualche parte nel petto lo porta. Poi passato quel minuto si ricomincia ad odiarci tutti allegramente, questo è inevitabile pare, però una traccia di questa commozione (magari piccolina, magari quasi invisibile) dovrebbe restare anche nei “cuori di pietra”. E forse persino nei “leoni da tastiera”. Categoria sempre più popolosa questa, che giornalmente affligge le giornate di chi presta loro attenzione, o addirittura prova a discuterci. Impresa questa che ci sentiremmo di sconsigliare nella maniera più accorata possibile. Si può avere un dialogo sensato con qualcuno che si mette ad insultare un morto (Astori appunto) perché hanno dato un rigore contro la propria squadra del cuore? Suvvia… Un anno dunque da quella domenica mattina. Da quella notizia nemmeno sorprendente: irreale. Come scrivemmo allora, era una evenienza del tutto fuori da ogni possibile immaginazione. Il campione pluricontrollato da ogni punto di vista che se ne va così, mentre dorme. Milioni di libri colmi di consigli su dieta sana, vita sportiva, controlli medici attenti e continui, che in un istante se ne andavano ad un immaginario macero. E con loro le sicurezze sulla vita meravigliosa e senza scosse dei privilegiati per eccellenza: i calciatori. Beh, forse è solo un’impressione, però almeno parlando dei compagni di squadra (sia essa la Fiorentina o la Nazionale) da allora qualcosa nei loro sguardi, nel modo di approcciarsi ai tifosi, o anche solo nel reagire a partite negative, sembra davvero cambiato. C’è una maturità diversa, e un pochino più di “umanità” in loro, in un mondo che è quanto di più disumano ci possa essere considerando la distanza “lunare” che intercorre tra le vite dei protagonisti in campo e di chi a quello spettacolo assiste. Può darsi che sia solo un’impressione appunto, però se così non fosse, o lo fosse anche solo in minima parte, questo sì che sarebbe un piccolo miracolo da ascrivere all’ex capitano viola. Sì perché diciamolo, il rischio grosso che si sta correndo (e forse in questi giorni siamo già oltre la parola “rischio”) è di fare un santino di Davide. Chi scrive non ha mai avuto la fortuna di incontrarlo dal vivo e quindi si deve fidare dei racconti e delle impressioni che si ricavavano dalle interviste, dal suo modo di porsi, dal tono di voce. E, per quanto può valere, il giudizio è che fosse davvero un ragazzo gentile, modesto, e senza i vezzi (orrendi) del calciatore medio. Uno che potevi incontrare mentre giocava con la propria bambina in un giardino pubblico con altri bambini figli di gente normale, e non in un parco protetto con recinzioni elettrificate e security armata, un “umano” insomma. Speciale per questo dunque, il che era sicuramente un po’ un suo merito, ma anche molto demerito di un mondo fuori da ogni contatto con la realtà come è il calcio italiano (e non solo) nell’anno 2019. Questo per dire che forse il lirismo eccessivo sarebbe bene evitarlo, anche se fatto in buona fede. Perché Davide era uno a cui sicuramente giravano le scatole se non gli rinnovavano il contratto, o se la proprietà gli metteva intorno una serie di “scarponi” indecenti pescati qua e là in giro per il mondo. Poi lui ce la metteva tutta per farli ambientare e farli rendere al massimo possibile, però non era San Francesco d’Assisi. I miracoli posando una mano sul capo non li faceva. Era “solo” un ragazzo giovane e bello, con una moglie altrettanto bella, ed una bambina che sicuramente lo sarà. Uno che faceva un lavoro particolare che lo portava ad essere seguito e conosciuto da centinaia di migliaia di persone, eppure non per questo si sentiva come se gli avessero messo una corona in testa. Ecco, è per questo che ci dà dolore la sua assenza, e ci manca. Perché il destino, o chi per lui (a seconda delle fedi), ci ha tolto uno che meritava di restare ancora un po’ qui. Non per dare lezioni o indicare la via, no. Solo perché era serenamente normale. Tutto qui.