MARELLA AGNELLI CON LEI SCOMPARE UN MONDO CHE GIÀ NON C’ERA PIÙ
Nella sua casa di Torino è morta Marella Agnelli, la vedova dell’Avvocato Giovanni Agnelli.Marella Caracciolo di Castagneto aveva 91 anni, nata a Firenze il 4 maggio del 1927, era malata da tempo e negli ultimi giorni le sue condizioni erano peggiorate. I funerali si svolgeranno in forma strettamente privata. Di lei resterà il ricordo del suo volto enigmatico del lungo collo che le aveva guadagmato il soprannome The Swan, Il Cigno, dal fotografo Richard Avedon, insuperata icona di stile, seducente e distante al contempo e comunque riluttante ad ostentare il suo rango, tipico di una vera signora. Era una donna dinamica e arguta sempre occupata in nuovi progetti, Marella a tratti era anche fragile e sofferente. Era figlia di Filippo Caracciolo di Melito, scrittore saggista e diplomatico, alla fine della seconda guerra mondiale ebbe l’incarico di Sottosegretario di Governo e successivamente ricoprì la carica di Segretario Generale del Consiglio d’Europa. Discendente di un nobile e antico casato napoletano, sposò appena ventenne Margaret Clarke, americana dell’Illinois figlia di un magnate del whisky. Marella disse dei genitori che erano come due ragazzi che affrontavano la vita in una “fragilissima imbarcazione”, incapaci di costruirsi un futuro che poi il padre Filippo troverà nella diplomazia. La sua grande famiglia era piena di espatriati angloamericani e di esponenti della vecchia aristocrazia, lunghi e dinoccolati come nei ritratti di Modigliani, che passavano il tempo a farsi visita in ville sempre più decrepite sulle colline di Firenze, discutendo ogni volta per ore del nulla.Dopo aver seguito gli studi superiori e conseguito il diploma in Svizzera, Marella Agnelli ha frequentato “l’Académie des Beaux-Arts” e quindi “l’Académie Julian” di Parigi. Ha fatto la fotografa a New York come assistente di Erwin Blumenfeld, rientrata in Italia, ha collaborato come redattrice e fotografa per Condé Nast. Iniziò a frequentare gli Agnelli dopo la guerra; rimasta affascinata dalla vita spensierata e mondana di quei giovani rampolli dell’alta società che le sembrava quasi immorale. Susanna Agnelli vedeva in lei quella che probabilmente avrebbe potuto sposare il fratello e Maria Sole le regalò le sue prime scarpe con il tacco. La frequentazione con L’Avvocato durò per 8 anni tra alti e bassi, fino a quando nel 1953 si sposarono nel castello di Osthofen alle porte di Strasburgo. Agnelli ancora con le stampelle dopo l’incidente in auto in Costa Azzurra, lei in un magnifico abito di Balenciaga, fotografati con discrezione da Robert Doisneau, quello del “Bacio davanti all’hotel De Ville”. Giovanni Agnelli nelle sue interviste ha sempre dichiarato di essere stato un marito devoto pur ammentendo di non essere stato fedele. A Enzo Biagi disse: “Si può fare di tutto ma la famiglia non la si può lasciare”.Marella ne era consapevole ed è probabilmente per questa ragione che appariva distaccata dalla mondanità, scegliendo i suoi amati cani, i giardini, i tessuti, le fotografie piene di ricordi, i libri tanto amati ricordati nella sua biografia raccontata nel libro “La signora Gocà”. Nel 1973, su richiesta della famosa fabbrica di tessuti in Svizzera Abraham Zumsteg, ha realizzato una serie di disegni per tessuti d’arredamento. Ad essa sono seguite le collezioni in Italia per la Ditta Ratti di Como, in Francia per gli Stabilimenti Steiner, negli Stati Uniti per la Martex e numerose collezioni per la Marshall Field’s. Nel 1977 ha ottenuto negli Stati Uniti l’Oscar del disegno con il premio `Product Design Award of the Resources Council Inc.´Ha comunque sempre continuato a fotografare, collaborando con Condé Nast e altre riviste. Ha pubblicato nel 1987 il best-seller “Giardini Italiani” della Weidenfeld e Nicholson, nel 1995 “Il Giardino di Ninfa”, nel 1998 “Giardino Segreto”, nel 2007 “Ninfa Ieri e Oggi”. Successivamente nel 2014 “Ho coltivato il mio giardino” e nel 2015 “La signora Gocà”. La vita mondana terminò presto, I week end con i Kennedy, le vacanze sfarzose, le feste organizzate dall’amico Truman Capote a New York, come quella del vestito bianco di Givenchy, con la maschera e le piume, per il “Black and White Ball” al Plaza nel 1966, tutte cose che ormai le lasciavano un senso di vuoto. Marella amava molto la casa di famiglia, a Villar Perosa, di cui aveva rifatto il giardino prima con l’aiuto di Page e poi di Paolo Pejrone. Ogni anno verso fine maggio invitava un centinaio di personalità e di dirigenti del gruppo Fiat a visitare il giardino delle rose. Con il marito riceveva gli ospiti all’ingresso uno per uno, a volte anche con i figli Edoardo e Margherita. I saluti spesso duravano anche un’ora, ossequi e impacciati baciamano che avrebbero stancato anche il più abituato degli aristocratici. Marella nello splendido parco della villa, ha visto giocare i suoi nipoti, tutti figli di Margherita: John, Lapo e Ginevra Elkann; Pietro, Sofia, Maria, Anna e Tatiana de Pahlen; e poi i sei pronipoti, che hanno ripetuto negli anni sull’erba e intorno alla piscina le stesse grida e gli stessi giochi. Non amava Villa Leopolda di Villefranche-sur-mer, una residenza come quelle dei libri di Scott Fitzgerlad, ma le ricordava gli anni giovanili di Gianni. Nemmeno nell’ex convento di Alzipratu, in Corsica. Le tante case da quella di Roma, vicino al Quirinale, lo chalet di Chesa Alcyon a Saint-Moritz, i due appartamenti di Parigi, e il 17° e 18° piano del palazzo di Park Avenue a New York, tutte arredate da lei con mobili antichi russi e francesi provenienti dalle stanze di imperatori e zar e un bureau plat dal prezzo inaccessibile di 5 milioni di dollari, appartenuto al figlio illegittimo di Talleyrand. E poi i tanti quadri: i Picasso, i Balthus, i De Lempicka, i Canaletto, i Renoir, i Moreau, il Bacon di “Studies for a Pope”, gli Schiele e i Klimt, messi in tutte quelle residenze che dovevano avere l’aspetto lussuoso, ma non sembrare case da ricchi. Donna Marella aveva uno stile inconfondibile tutto doveva essere misurato, armonioso, ogni cosa non doveva essere esibita e lasciare sempre quella parte di mistero. Molti di questi quadri si trovano ora nella Pinacoteca del Lingotto a Torino, inaugurata poco prima della morte di Giovanni Agnelli. La sofferenza più grande è stata il drammatico suicidio del figlio Edoardo nel 2000. Con la figlia Margherita erano arrivate le incomprensioni sull’eredità dell’Avvocato, Marella le chiamava “le sofferenze inaspettate”, quelle che colpiscono a tradimento e per questo causano un dolore dal quale non si guarisce. Dopo la morte del figlio si era rifugiata nel sogno di un’altra splendida casa, quella di Ain Kassimou, “l’occhio della fonte”, a Marrakech in Marocco, acquistata da Patrick Guerrand-Hermès. Dal 2005 vi abitava stabilmente, lontana da ogni ricordo, coltivando il suo ultimo giardino segreto. Citava spesso una frase di Russel Page, il paesaggista inglese: “Occorre saper essere il servitore di qualcosa di più alto, o si diventa schiavi di tutto ciò che c’è di più in basso”. E quello che c’era di più in alto era la bellezza dell’arte, l’armonia dei giardini, l’elegante equilibrio di una stanza bene arredata nella quale sentirsi bene. È stata, come diceva il titolo inglese di una sua biografia, l’Ultimo cigno, l’ultima rappresentante di uno stile che non c’è più, non rappresentato solo dalla ricchezza.
