PIPPO DELBONO E IL TEATRO DELLA GIOIA. VA IN SCENA TUTTO IL VUOTO DOPO BOBÒ

PIPPO DELBONO E IL TEATRO DELLA GIOIA. VA IN SCENA TUTTO IL VUOTO DOPO BOBÒ

Capita una sera milanese di trovarsi al Piccolo Teatro, che fu di Strehler, con un biglietto a prezzo stracciato, di quelli che il web ti tira praticamente dietro, e di infilarsi in mezzo alla solita gente che qualche volta va a teatro: tutti radical chic, certo,what else? Sbadigli, ti gratti, ti annoi, cerchi le facce conosciute della platea, in fondo è una prima, per quel che vale. E poi, a luci spente, sul palco si presenta a sorpresa uno stregone, uno sciamano, non so chi: è un mago che parla piano in un microfono e tesse con pazienza e lampi di genialità, con una sofferenza che si tocca quasi, il filo sottile di una storia. Elabora in pubblico un lutto e insieme si apre dolorosamente a una redenzione. Signori e signore, va in scena Pippo Delbono, di Varazze, classe 1959, il teatrante italiano più amato dai francesi: con la sua Compagnia di pazzi, di gente da strapazzo, oggi porta in palcoscenicoLa gioia, anzi la difficile ricerca della gioia, il primo spettacolo dopo 22 anni dove non ha a fianco Bobò, il piccolo sordomuto morto 82enne a febbraio, con cui aveva creato un sodalizio umano e artistico inusuale, da che lo aveva liberato da quarant’anni di manicomio. “Dopo Bobò c’è sempre un vuoto”: così Delbono accompagnava l’ultima apparizione dell’amico. Su questo vuoto, oggirisemantizzail teatro. Riporta un senso a un rito consumato. Ci soffia dentro di nuovo la vita, con lo sforzo dell’artista, il dolore dell’uomo, il talento di un indovino che, come il Tiresia di Eliot, sa di aver già visto tutto. Si sposta, in quadri visivi semplicissimi e folgoranti, nella sua ricerca di significato, dal circo dei clown bianchi alle piste da tango, dai monologhi pirandelliani alle preghiere per gli ultimi (annegati), da una prigione di umor nero a una festa che si riflette in una palla luccicante da discoteca. Finisce dopo un’ora e mezzo un visionario giro del mondo attorno a un’anima – e dentro una forma di spettacolo residuale, di nicchia e moribonda, forse, ma che può tornare per una sera viva e vera, di una verità lancinante – finisce con Pippo Delbono che grida più forte di ogni musica e intreccia la sua voce con quella registrata di Bobò, uno squittio quasi, il pianto di un vecchissimo bambino, il grido di un uccello nel vento. La gioia arriva alla fine per Pippo Delbono circondato come Tarzan dalle liane di meravigliosi fiori, che sono calati ad abbracciarlo dall’alto. A nessuno del pubblico che lo applaude a lungo, insieme alla sua corte bellissima e stralunata, viene in mente di urlargli bravo, ma solo perché tutti gli stanno dicendo grazie. Grazie. Qui letappedello spettacolo della Compagnia Pippo DelbonoLa gioiae iltrailer.