QUEL TRAMONTO DAL GIARDINO SOPRA LA SERRA DELL’ORTICOLTURA

QUEL TRAMONTO DAL GIARDINO SOPRA LA  SERRA DELL’ORTICOLTURA

Dio signore del cielo e della terra, come era bello quel tramonto, questo pomeriggio, dal giardino che sta sopra la serra dell’Orticoltura. C’era la Cupola del Brunelleschi, lì davanti, e il campanile di Giotto. E a destra, verso ovest, tutto quel rosso che ai piani alti diventava viola, e poi azzurro. Mentre a destra si illuminava la serra Liberty di ferro e vetro, che sembra una bacheca per i ricordi, per i pensieri. Sembra una scatola trasparente, dove puoi metterci l’infanzia. Perché io l’infanzia l’ho passata anche lì davanti, giocando in quel giardino. E la parola “orticoltura”, difficile per un bambino, per me era così consueta, così familiare. Anche quella serra è parte della mia casa, della mia infanzia. Grazie per questi cinque minuti, lì seduto sulla panchina davanti a quel tramonto, davanti a questa città che conosco così bene e che ancora mi sembra di non conoscere. E poi prendere lo scooter. E scoprire qualcuna di quelle strade che si aprono fra muri di pietra e ville, dove probabilmente dentro c’è gente ricca, che questa domenica pomeriggio legge libri o fa l’amore, e poi farà una bella cena. Ma a me basta passarci dentro, a queste strade di pietre e ciottoli, che ne scopro sempre una nuova. su da via della Piazzola, vicino a dove mia madre è cresciuta, il quartiere delle Cure, quelle strade che sembrano ancora appartenere a un paese. Non ho mai immaginato mia madre bambina. Non ricordo neppure più me, bambino. So che ero solo. E che giocavo inventandomi i giochi. Che sognavo di avere gli album “64 meravigliose figurine per le vostre ricerche”, con quelle figurine dietro alle quali c’erano tante informazioni, c’era tanto sapere. Vedo adesso che ci sono ancora, su ebay. C’è anche la Toscana. Non costano neanche tanto. Magari un giorno me ne compro uno. Non ricordo quando ero piccolo. O forse, penso ancora di essere piccolo. Di non essere pronto per giocare i giochi dei grandi. Chi lo sa. E chissà se lo saprò, dopo, una volta passato oltre la linea, quello che sono stato davvero. Però che bello arrampicarsi con uno scooter e vedere, di là dalle finestre, quella luce morbida, quel silenzio bagnato di luce, e immaginare le vite degli altri. Arrivare a San Domenico, e poi ritornare giù, per una via mai percorsa prima, che va giù quasi a precipizio, e scendere con i piedi puntati contro le pietre del selciato, a freni tirati, e pensare che se lo scooter va giù è l’ultimo pomeriggio che ci vado, poi sarà solo un rottame di scooter vecchio e spaccato. E arrivare giù, alla fine della tua minuscola avventura, sano e salvo. E ringraziare Dio, se c’è, anche di un pomeriggio piccolo come questo.