SANT’EGIDIO COMPIE CINQUANT’ANNI E A NATALE LA FESTA SI FA GRANDIOSA!
I primi ad arrivare sono famiglie rom, con bambinetti al seguito, qualche mamma che spinge la carrozzina con un neonato e un altro pupo in evidente arrivo, ancora per poco nel pancione. Poi, accompagnati da alcuni volontari, arrivano i ragazzi dei vicini centri d’accoglienza, belli sorridenti, neri, elegantissimi, qualcuno con la cravatta, perché questa di oggi è un’occasione davvero importante. Una signora italiana con un vistoso cappello chiede a che ora si mangia e se sono previsti dei regali, racconta anche che stamattina ha litigato con il compagno e quindi lui non verrà. C’è qualche anziano senzatetto, qualcuno slavo, ma anche italiani e una famiglia siriana, mentre arrivano altri rom: i capofamiglia sono giovanissimi, le mogli pure, sebbene abbiano già almeno tre figli a coppia. I bambini scalpitano, succhiano chupa-chups, mentre le nonne gli puliscono i nasini mocciolosi. C’è una bambina bellissima, che sfoggia una specie di abitino da sposa, tutto bianco, con la gonna di tulle e sopra una giacchetta di lana un po’ lisa. I maschietti dai tre agli undici anni hanno già formato piccoli eserciti giocosi, dove si sparano col pollice e il medio delle manine per poi ridere con sorrisi sdentati. Le ragazzine più grandicelle, qualcuna con un filo di rossetto e le unghie smaltate, stanno tutte insieme a parlottare tra loro. Aspettano, ognuno con l’invito in mano e tutti un po’ impazienti di accomodarsi all’interno della scuola elementare per il consueto pranzo di Natale in una delle numerose comunità di Sant’Egidio della capitale. Siamo al Torrino, in zona Roma Sud, e si sta per dare il via ad una festa che sarà gioiosa ed emozionante, all’insegna dell’integrazione, della socialità, dell’amicizia e della Pace. Contemporaneamente a noi, in un centinaio di altri altri Paesi, in moltissime città in tutto il mondo, si svolge il medesimo pranzo, offerto a chi è indigente, una festa che quest’anno sarà più speciale del solito, perché quest’anno Sant’Egidio compie mezzo secolo. Il popolo dei volontari di Sant’Egidio è composto da persone di varie età, genere, interessi ed estrazione sociale. Non immaginate la congregazione delle dame di carità, sole, annoiate e un po’ agèe, che devono ingannare il tempo, no. Qui ci sono intere famiglie, con bimbi, nonna e suocera al seguito, che hanno deciso di passare il Natale in una famiglia un filino…allargata, studenti, impiegate, professionisti, commesse, tra ospiti e volontari saremo poco meno di duecento persone. C’è anche un pilota che stamattina è atterrato a Fiumicino e si è precipitato qui con la macchina fotografica, in veste di reporter. E sì, perché quiorganizzazioneè la parola d’ordine, e ognuno ha il suo compito specifico. Tre giorni fa è stato fatto unbriefingserale in cui sono stati assegnati i compiti per il pranzo di Natale a ciascun volontario. Chi dovrà addobbare la sala interna, chi la parte esterna, chi sta all’accoglienza e dovrà intrattenere gli ospiti all’aperto prima di farli accomodare all’interno della sala, chi fa il servizio navetta per recuperare qualche ospite, ma anche le lasagne generosamente offerte dalla cucina di un grande albergo, chi sta in cucina a dividere le suddette lasagne in circa centottanta porzioni, chi dovrà cucinare a casa e poi portare bocconcini di pollo con piselli e patate arrosto, tagliare il pane, suddividere per tavolo la frutta e i dolci, chi dovrà impacchettare più di duecento regali, perché sono previsti anche ospitilast minute, chi si dovrà occupare della musica, chi è investito del divertente compito di “capotavolo”, praticamente un addetto alle pubbliche relazioni per ognuno dei sedici tavoli allestiti con tovaglie di raso rosso a motivi floreali e stoviglie usa e getta con motivi natalizi, e dovrà intrattenere e conversare in inglese, italiano e francese con gli ospiti stranieri, aiutare poi per la consegna dei regali, ognuno personalizzato a seconda del ricevente. Ci sono i sommelier che hanno il delicato compito di versare il vino, senza mai lasciarlo a tavola per ovvii motivi, chi dovrà apparecchiare e servire il pranzo agli ospiti e poi lui, l’attesissimo Babbo Natale, con un nugolo di giovanissimielfiaddetti alle consegne dei doni. Questa mattina alle nove tutti operativi, in un gran fermento, tutti un po’ emozionati, chi finiva di chiudere i pacchetti, chi appiccicava i cartelli di auguri e di benvenuto, chi iniziava a tagliare il pane. Un po’ di confusione all’entrata, ma poi gli ospiti vengono fatti accomodare, ognuno al tavolo assegnatogli, le famiglie tutte insieme ovviamente, il pierre di ogni singolo tavolo stringe mani, sorride a tutti e fa amicizia, ma è semplice entrare in empatia con questa gente, con i ragazzi del Ghana, del Benjin, della Nuova Guinea o del Togo poi è facilissimo, che gli africani si sa, hanno un carattere che definirlo gioviale è dire niente. Sono allegri e simpatici e dopo i primi due, forse tre minuti di imbarazzo, iniziano a raccontare da dove vengono, quanti anni hanno e chi hanno lasciato nel loro paese. Nel centro che li ospita da qualche anno studiano l’italiano e altre materie propedeutiche a trovare un lavoro, il mio vicino di posto ha venticinque anni, si presenta benissimo, parla sette lingue, tutte quelle europee più due idiomi dell’Africa, e dovrebbe presto essere assunto al controllo sicurezza in qualche boutique del centro. Quando già molti sono seduti, al nostro tavolo arrivano altre due famiglie e sulla sedia alla mia sinistra prende posto un signore dal nome impossibile da ricordare, con la sua signora che si chiama Sefika e due bambinetti educatissimi di due e cinque anni. Trentott’anni fa sono fuggiti con i figli dalla Bosnia, i piccoli sono nati in Italia e sono i loro nipotini. Lui ha il viso scavato e lo sguardo assai triste, mi racconta che scrive poesie e testi teatrali, spesso si è esibito in teatro come attore e cantante e mi declama in italiano una poesia tristissima che si intitola “Madre” e che lui scrisse per i bimbi orfani della guerra dei Balcani. Intanto la sua deliziosa nipotina con la tutina rosa con gli aristogatti ricamati su, parla con la sua bambola e ride. All’altro capo del tavolo invece siede una giovane mamma che partorirà tra venti giorni, con una pupa poco più che neonata e altri due bambinetti di cinque e sette anni. Il marito ne ha venticinque, è un cicciottello di ottimo appetito con una parola in slavo tatuata sul braccio. In mezzo ci sono i cinque africani con i sorrisi bianchissimi, Ibrahim mi chiede se nella lasagna che Giulia e Adriano gli hanno appena servito c’è carne di maiale, perché lui non la può mangiare (per motivi religiosi, intuisco). “Macchè, vai tranquillo, è tutta verdura e besciamella”. Ed è davvero buonissima! Nella sala l’atmosfera è – non solo quanto di più natalizio si possa immaginare – ma è anche carica di una bella energia, di gioia, di semplice voglia di stare insieme in tutta allegria, lasciando da parte, almeno per un giorno, drammi, miserie e problemi quotidiani. Il clou della festa sarà l’entrata di Babbo Natale col codazzo di giovanissimi aiutanti che trascinano enormi sacchi numerati, corrispondenti al numero di ogni tavolo. Tutti applaudono, i bimbi strillano e sono al culmine della felicità, vengono distribuiti i pacchetti a grandi e piccini, all’interno dei quali ognuno troverà quel che certamente gli sarà utile, se non necessario, perché il popolo di Sant’Egidio conosce e segue da anni quasi tutti gli ospiti del pranzo di Natale. Iselfieimpazzano, tutti con i cellulari alla mano per riprendere, non solo il ciccione vestito di rosso, ma anche per filmare l’incontenibile entusiasmo di ognuno, a farsi foto coi vicini di tavolo, coi pupi in braccio, in un mix di etnie, idiomi, accenti e sorrisi. Quando tutti i pacchetti saranno stati scartati, dopo un altro brindisi, ci si saluta un po’ a malincuore. A me piacerebbe racchiuderli tutti, nessuno escluso, in un abbraccio enorme, che possa contenere anche ognuno degli organizzatori, ma soprattutto Barbara, quella piccola grande donna dagli enormi, vivacissimi occhi verdi, che con la sua ferma dolcezza, coadiuvata da diversi altri volontari di questa comunità di Sant’Egidio, che da anni organizzano – non solo pranzi di Natale – ma anche Befane, feste, mercatini di beneficenza, marce della Pace e tante altre iniziative, che riescono ad addolcire l’esistenza dei meno fortunati.Organizzazione, certamente, ma l’altra parola chiave – forse quella basilare, il concetto da cui scaturisce tutto – è più corta, ha solo cinque lettere, ma suona bene:Amore.
